Ancora oggi, pur appoggiando la campagna per l’eliminazione delle esecuzioni capitali dal codice penale dei vari paesi e sostenendo la richiesta di una moratoria mondiale, la Chiesa «non esclude, supposto il pieno accertamento dell’identità e della responsabilità del colpevole, il ricorso alla pena di morte, quando questa fosse l’unica via per difendere efficacemente dall’aggressore ingiusto la vita di esseri umani» (Catechismo della Chiesa cattolica, §2297, 1992). Il Catechismo aggiunge però subito che oggi «a seguito della possibilità di cui lo Stato dispone per reprimere efficacemente il crimine …. i casi di assoluta necessità di soppressione del reo sono “ormai molto rari, se non di fatto inesistenti” (Evangelium vitae)».
Verità e pretesti
In questo modo la mutata posizione della Chiesa che, nello stato pontificio, praticò la pena di morte fino alla fine del potere temporale e la eliminò dal codice penale solo nel 1969, viene spiegata come un sapiente adattamento ai tempi e non come la correzione di una posizione sbagliata. Ma la verità è diversa. In passato la pena di morte non fu giustificata affatto dalla Chiesa perché «unica via praticabile per difendere» vite innocenti, ma in quanto dotata del valore vendicativo, punitivo e espiativo che le dava la Bibbia («chi sparge sangue umano, dall’uomo sarà sparso il suo sangue», Genesi, 9, 6). Agostino afferma che è conforme a «giusta ragione» che i «delinquenti» siano «puniti con la morte». Tommaso d’Aquino la ritiene una «espiazione» per il «peccatore». E per Alfonso Maria de’ Liguori «Dio stesso vuole che siano puniti i malfattori». «Emanando una sentenza di morte», scrive il Catechismo romano del 1566, «i giudici . sono gli esecutori della legge divina . vendicano il misfatto . mirano appunto a tutelare e a garantire, con la repressione della delinquenza, questa stessa tranquillità della vita garantita da Dio» (§ 328). Inconsistente e specioso è quindi l’argomento addotto a oggi dalla Chiesa per giustificare la pena di morte e cioè la mancanza di strumenti per reprimere efficacemente il crimine senza bisogno di sopprimere il reo. Forse che le segrete o i piombi di Venezia erano meno sicure delle carceri odierne al fine di impedire che i criminali minaccino «vite innocenti»?! In realtà, la Chiesa ricorre a queste argomentazioni per non riconoscere di avere mutato opinione sotto l’influenza del pensiero laico, che essa ha contrastato a lungo anche su questo punto. Si pensi che ancora nel Settecento, quando i principi illuminati cominciavano a porre in dubbio il ricorso alla pena di morte, la Chiesa non solo la giustificava e la praticava, ma pose all’indice il famoso scritto di Cesare Beccaria Dei delitti e delle pene, che criticava sia la pena di morte, sia la tortura.
La Chiesa e le “pratiche crudeli”
Analoga ipocrisia rivela la posizione della Chiesa sulla tortura, di cui il Catechismo del 1992 dice: «Nei tempi passati, da parte delle autorità legittime si è fatto comunemente ricorso a pratiche crudeli per salvaguardare la legge e l’ordine, spesso senza protesta dei pastori della Chiesa, i quali nei loro propri tribunali hanno essi stessi adottato le prescrizioni del diritto romano sulla tortura. Accanto a tali fatti deplorevoli, però, la Chiesa ha sempre insegnato il dovere della clemenza e della misericordia; ha vietato al clero di versare il sangue. Nei tempi recenti è diventato evidente che tali pratiche crudeli non erano né necessarie per l’ordine pubblico, né conformi ai legittimi diritti della persona umana» (§ 2298). Insieme a un tentativo abbastanza goffo di giustificare il ricorso alla tortura sostenendo che solo «in tempi recenti» ne sarebbe venuto alla luce il carattere disumano (!), si cerca di ridurre questa pratica alla passiva applicazione di norme derivate dal diritto romano e mitigate dall’invito alla clemenza o dal divieto al clero di versare sangue. Le «pratiche crudeli» furono viceversa introdotte, giustificate e minutamente regolate con bolle o manuali da Innocenzo IV e dai suoi successori in funzione dei processi inquisitori. Anche la regola ipocrita di lasciare ai laici il compito di «versare il sangue» fu progressivamente abbandonata e nel 1543 Paolo IV garantì con apposito Decretum l’assoluzione preventiva ai chierici che, nel corso dei cosiddetti “interrogatori” agli eretici, avessero «versato sangue fino alla morte del reo».