La coda di Paglia

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Quando era un semplice Vescovo della diocesi di Terni-Narni-Amelia Monsignor Paglia riuscì, vai a capire perché, a convincere tutti che era un grande rivoluzionario di sinistra.
Di questo erano convinti in particolare i politici e gli amministratori del centrosinistra che per oltre un decennio insieme a lui (letteralmente insieme) gestirono molti aspetti della cosa pubblica.
“Paglia è molto più a sinistra di Rifondazione!” si sentiva esclamare sovente in riunioni con funzionari e dirigenti pubblici, insieme al classico apprezzamento: “Paglia certe cose non le può dire per il ruolo che ricopre ma si capisce che è un progressista di ampie vedute!”
Certo noi anticlericali siamo cattivi, però ci sembra che il tempo abbia dimostrato ampiamente dimostrato come le “ampie vedute” del monsignore riguardassero solo il modo di gestire il conto della diocesi dove è apparso un buco di 25 milioni di euro poco dopo la sua partenza per lidi di maggior gloria teologica.
En passant, non rivanghiamo certo questa misera e puerile questione terrena perché riteniamo il monsignore colpevole di qualcosa, ci mancherebbe altro! È solo che da cattivi anticlericali per l’appunto, ci sembra sempre molto strano che un “buco” di 25 milioni di euro nei conti di qualsivoglia attività, in una provincia depressa come quella di Terni abbia suscitato poco clamore e sia stato archiviato come “mistero della fede” dopo i fallimenti delle prime indagini.
Ad ogni modo, leggiamo che in questi giorni l’Arcivescovo nonché Gran cancelliere del Pontificio istituto teologico per le scienze del matrimonio e della famiglia, presidente della Pontificia accademia per la vita e fondatore della Comunità di S. Egidio, che gestisce un programma nazionale di assistenza domiciliare (“Viva gli anziani”) in partnership con il ministero della Salute, e nominato dal ministro della salute Speranza a settembre 2020 alla guida di una commissione che doveva far luce sulla strage nelle RSA dovuta alla prima ondata della Covid, lancia i suoi strali contro la raccolta di firme per il referendum per rendere l’Eutanasia legale nel nostro paese. (Il referendum chiederà di abrogare il reato di “omicidio del consenziente”).
Probabilmente il Monsignore crede ancora di stare parlando ai politici ternani che pendevano dalle sue labbra e gli facevano passar per buona qualunque uscita, ma in realtà le argomentazioni che tira fuori per il suo grido di allarme sono meno che ridicole e già affrontate (e smentite) migliaia di volte nei dibattiti pubblici.
Sì perché magari nel suo universo multi-incarico, che non ha niente da invidiare per estensione a quello multi-dimensionale della fisica, il Monsignore non se n’è accorto ma la società civile è andata avanti (a differenza dell’indissolubile binomio politica italiana – chiesa cattolica) e oggi chi tira fuori la parola “eugenetica” per parlare della non punibilità del gesto di porre fine alle sofferenze di un disperato che te lo sta chiedendo (di questo si parla, ricordiamocelo) può rivelare solo due cose di chi la usa: ignoranza della tematica e la mancanza di empatia nei confronti di chi soffre.
L’Arcivescovo cerca di giustificare l’insensato allarme eugenetica inserendo un tema come l’aborto che c’entra come i cavoli a merenda (“C’è la tentazione di una nuova forma di eugenetica: chi non nasce sano non deve nascere” ilgiornale.it del 17 agosto u.s.) oppure tenta acrobazie lessicali come il Conte Mascetti in “Amici Miei” (“Si sta man mano incuneando nella sensibilità della maggioranza una concezione vitalistica della vita” ibidem), ma poi non può fare a meno di sprofondare nel ridicolo come capita spesso a chi dall’alto dei suoi dogmi perde di vista la realtà dei fatti: “Non si può affrontare un tema così ampio e complesso con una firma occorre una riflessione che permetta un dialogo effettivo tra tutte le componenti della società” (ib.)
Oltre alla constatazione che negli ultimi cinquant’anni il Monsignore era troppo distratto per accorgersi che del tema se n’è parlato eccome, peraltro in maniera sempre più costante ed approfondita, non è certo con il disprezzo dei metodi democratici (la firma per chiedere un referendum) che può pensare di prendersi la ragione.
Magari questa volta il Monsignore invece di nascondersi dietro all’astensione, sfruttando l’ignavia e il disinteresse degli italiani come lui e i suoi colleghi hanno fatto nel referendum del 2005 sulla fecondazione assistita, potrebbe provare a partecipare a qualche dibattito. Certo magari con qualche argomentazione un poco più presentabile se non vuol fare brutte figure.
Anche perché il referendum si farà (a meno di sorprese imprevedibili) visto che l’obiettivo di 500mila firme è stato già ampiamente raggiunto e superato. Un dato questo che, con un poco di saggezza e lucidità, dovrebbe portare i contrari all’eutanasia a non intervenire così a gamba tesa.
Ma il Monsignore su cosa vorrebbe dialogare se ha già catalogato la posizione etica diversa dalla sua come nazismo eugenetico?
Il dialogo funziona se si ascoltano le posizioni diverse, non se si vuole convincere o evangelizzare o convertire l’interlocutore. Ma del resto basta leggere proprio il suo libro “Lettera ad un amico che non crede” per constatare che Mons. Paglia quando dialoga con posizioni avverse vuole solamente ribadire la sua superiorità etica e morale.

 

Alessandro Chiometti

 

20 Agosto 2021   |   articoli, riflessioni   |