(Foto di: Di Cirone-Musi, Festival della Scienza)
Guido Barbujani: genetista, scrittore e professore universitario italiano. Durante la sua carriera accademica, ha lavorato alla Stony Brook University (Stato di New York), alle Università di Padova e Bologna, e dal 1996 è professore ordinario di genetica all’Università di Ferrara.
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- L’italia sta faticosamente uscendo da un lungo lockdown dovuto alla pandemia della Covid19. Speriamo che non ci siano “seconde ondate” che costringano nuovamente a misure così drastiche; tuttavia in attesa del “quadro definitivo” su ciò che è stata questa emergenza penso che sia legittima una riflessione. Da fautore del metodo scientifico e avendo numerose esperienze di dibattiti sui temi scientifici, ho una brutta impressione Professore: la scienza o per meglio dire i suoi “comunicatori” non hanno lasciato una buona impressione. Mi sbaglio?
Ho anch’io la stessa sensazione. Il compito era, obiettivamente, molto difficile, per due ordini di considerazioni: le prime strettamente scientifiche, le seconde derivanti dalle esigenze contraddittorie a cui si doveva far fronte. Il problema scientifico è che tantissimi fattori possono spiegare le differenze di prevalenza della malattia fra popolazioni, e le differenze nel suo decorso. Può contare la presenza di ceppi virali diversi; la diversa carica virale a cui si è esposti; una diversa predisposizione genetica degli individui, e non possiamo escludere che possa essere distribuita diversamente nelle popolazioni di aree diverse; può contare la struttura geografica e sociale: quanta gente vive da sola, quanta in condominio, oppure quanta gente prende l’autobus o la metro; la struttura socio-sanitaria, cioè quanti ospedali ci sono, quanto grandi, e con quali ritardi hanno preso in carico i pazienti; e tanti fattori ambientali, dalla temperatura alle percentuali di particelle sottili nell’atmosfera. E conta sicuramente il fatto che ogni paese, e ogni regione in Italia, ha raccolto i dati in modo differente, rendendoli difficili da confrontare.
Ed era difficile trovare il giusto equilibrio nel comunicare il poco che abbiamo capito finora, quando agli esperti si chiedeva da un lato di non creare il panico, ma dall’altro di essere incisivi in modo che i cittadini perché non prendessero i provvedimenti alla leggera. Bisognava essere uno scienziato competente, un comunicatore esperto, un fine psicologo e un politico navigato: troppe qualità, forse, per una persona sola.
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- Indubbiamente era ed è tuttora un compito difficile, e non vogliamo certo aggiungerci alla fin troppo lunga schiera di chi ha una soluzione pronta per tutto. Però, forse sono un po’ troppo malizioso, ma più volte mi è sembrato che si cogliesse l’occasione per regolare “conti in sospeso” invece che pensare a collaborare fra colleghi. Cerco di spiegarmi: se lo scienziato Tizio afferma “è un virus simil-influenzale più cattivo del solito” non vuol dire che è un negazionista che vuol far morire milioni di persone. O se lo scienziato Caio afferma che difficilmente il virus rappresenterà un pericolo nel fare il bagno nel mare, non c’è bisogno di cominciare a cercare magagne nel curriculum per poi dire, o per lo meno lasciar intendere, che non bisogna fidarsi di lui. Non pensa che questi atteggiamenti daranno facile gioco a tutti i movimenti a-scientifici come quello famigerato dei no-vax, che già stanno prendendo la palla al balzo nel dire “Lo vedete che litigano fra loro”?
Sì, anche secondo me molti hanno parlato troppo, e con troppa superficialità. Ci siamo spesso dimenticati che il punto di vista del virologo, del clinico, del sociologo, dell’epidemiologo sono tutti importanti ma tutti parziali: per comprendere quanto ci va succedendo vanno messi insieme, non contrapposti. Si vede che la luce dei riflettori ci abbaglia e ci infiamma. Non è capitato solo agli scienziati: una grande firma del Corriere della Sera ha scritto che ad autunno ci sarà “sicuramente” una nuova ondata virale; come faccia ad esserne sicuro non si capisce proprio. Come in altre vicende umane, sono emersi vanità e desiderio di protagonismo. Quanto ai movimenti No-VAX, questi tre mesi sono stati un’illustrazione perfetta di come si vivrebbe nel mondo che vogliono loro, senza vaccini: costretti a sfuggire la presenza degli altri e a vivere nel terrore del contagio: come nel Medioevo, periodo a cui la loro ideologia li accosta.
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- A proposito dei no-vax, una delle difficoltà maggiori nel recente dibattito è stata quella di riuscir a far comprendere la differenza fra un parere condiviso dalla comunità scientifica e quello di un singolo scienziato che agisce come battitore libero. In tal senso, quando mi è capitato di dibattere, ho avuto l’impressione che se invece di citare un’astratta “comunità scientifica” facevo riferimento a un organismo ben preciso come l’OMS/WHO e alle sue norme, le persone erano più ricettive. Oggi, però l’OMS è stato sotto attacco venendo quantomeno “tirato per la giacca” da chiunque. Allora, domanda da “un milione di dollari” come si suol dire, come faremo nei prossimi dibattiti a far capire di non fidarsi dei “battitori liberi” che promettono cure miracolose o che negano l’efficacia delle cure mediche vere e proprie?
La risposta non la so. O, perlomeno, non è semplice. Io penso che, in questa come in tutte le altre situazioni della vita, sia indispensabile l’uso del cervello, cioè del senso critico. Siccome il senso critico si affina con le conoscenze, è chiaro che la miglior difesa del cittadino contro le cosiddette bufale è la diffusione di una buona cultura scientifica di base. Viva la cultura, quindi. Non mi sfugge però che, durante la pandemia da SARS-CoV-2, messaggi rassicuranti poi rivelatisi privi di fondamento sono stati diffusi e accettati in paesi che riteniamo particolarmente avanzati dal punto di vista scientifico, come il Regno Unito, la Svezia e gli Stati Uniti d’America. Una regola semplice a cui attenersi è questa: risposte scientificamente solide ci arriveranno dalle fonti ufficiali, cioè dalle riviste scientifiche, sicuramente non da video su Youtube o messaggi su Whatsapp.
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- Riguardo alla comunicazione della scienza. Qualche mese prima della pandemia Covid19 in una conferenza organizzata per fare il punto sulla situazione dell’Aids un medico ebbe modo di dire come il famoso spot “con la linea viola” fosse stato un esempio di errore clamoroso di comunicazione scientifica. In primis trattava il “contagiato” come “diverso” ed era in pratica un invito ad escluderlo dalla società, in secondo luogo “spaventava troppo” e si sa che quando la gente è spaventata non ragiona. Su questa Covid, sono stati fatti girare dagli enti governativi video analoghi con un “infetto verde” che faceva diventare verde la pulsantiera dell’ascensore e chiunque la toccava cominciava a diventare verde a sua volta. O il postino che ti consegnava posta fosforescente e diventavi fosforescente a tua volta appena la leggevi. Insomma, sembrerebbe proprio che non si impari mai dai propri errori… o forse discutere con i ministeri e gli enti politici sui messaggi da dare è più difficile che spiegare Darwin a una platea di elettori di Trump in Tennessee?
Errori ne sono stati fatti e se ne fanno tantissimi. In parte sono stati dovuti a superficialità, o a quello che gli inglesi chiamano wishful thinking, cioè a voler credere a tutti i costi a ciò che ci consola o ci conviene. In parte, la situazione era obiettivamente difficilissima: all’inizio di questa pandemia nessuno aveva la minima esperienza. C’era chi da anni si affannava a far capire che era solo questione di tempo prima che ci succedesse una cosa così, ma abbiamo dovuto imparare (a volte con costi altissimi) ogni cosa da zero. La mia sensazione è che, nei paesi come la Germania in cui si è cercato di trattare i cittadini da adulti, a informarli più che a terrorizzarli o rassicurarli, i traumi siano stati inferiori a quelli che abbiamo visto dove ci si è affidati, anziché al senso di responsabilità, alla buona fortuna o alle costrizioni. Penso però che, in mezzo a mille problemi, il nostro paese sia riuscito a cavarsela con maggior efficienza e maggiore dignità di tanti altri.
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- Nel suo ultimo libro “Sillabario di genetica per principianti” edito da Bompiani chiude con questa frase che bisognerebbe sempre tenere a mente. “Ragionando in maniera approssimativa si può anche prevalere in una discussione al bar o su Twitter, ma non si possono fare le scelte lungimiranti di cui, invece, l’umanità e il pianeta hanno bisogno.” Giustissimo, il problema però è che questi ragionamenti pagano spesso anche in termini di voti elettorali… perciò mi sento di concludere con una provocazione. Se c’è una cosa che questa pandemia ci ha insegnato è che, al di là delle critiche fatte, della scienza abbiamo bisogno. Allora oltre ad invocare giustamente politiche più lungimiranti in termini di sanità, ricerca e ambiente, per evitare che studi o pareri scientifici vengano usati come bandiere uno contro l’altro da opposizione e governo non si potrebbe prevedere, in casi di emergenza sanitaria come questa, un “consiglio sanitario” che gestisca la cosa analogo al “consiglio di guerra” evitando così gli odiosi confronti politici fatti sulla pelle di chi muore per il virus?
Direi proprio: no, no e no. Che idea orrenda, un comitato che decide ciò che è vero e ciò che è falso. Sembra un’invenzione orwelliana. E chi sarebbero gli eletti a farne parte, e a giudicare in Terra del bene e del male? E poi: vogliamo davvero un comitato con poteri dittatoriali, che, a quanto capisco, scavalca le lungaggini della politica sospendendo alcuni aspetti, o magari tutti, delle libertà democratiche? E se non avesse poteri dittatoriali, quali prerogative potrebbe avere questo consiglio sanitario che non abbiano già il Governo, le autorità regionali e comunali, e i loro eventuali comitati scientifici? Anche quando sento i deliri di no-vax e complottisti, anche quando assisto a ignobili speculazioni sulla creduloneria di certa gente, continuo a pensare che la libertà di parola, e di conseguenza i tempi lunghi necessari alla mediazione politica, siano una componente indispensabile della nostra vita democratica. Quanto al coraggio di guardare un po’ più lontano, di provare a disegnare un futuro dieci o vent’anni più avanti, beh, come dice Manzoni, Il coraggio, uno, se non ce l’ha, mica se lo può dare.
Alessandro Chiometti