* Filippo Gentiloni
L'offensiva in atto da parte del mondo cattolico (meglio: di una sua parte) sta creando un certo imbarazzo nel mondo laico italiano, da anni sconosciuto o forse nascosto e che oggi coinvolge anche settori importanti della cultura di sinistra.
Fra le cause, la fine di quella lunga stagione durante la quale i rapporti chiesa-stato erano stati gestiti dalla Dc. Il Tevere scorreva, per così dire, fra le sue rive. Compresa la revisione del Concordato: lo aveva firmato Craxi, ma i suoi meriti – e demeriti – erano targati Dc. Oggi quel 1984 sembra lontano ben più di 20 anni, come – è bene ricordarlo – il Concilio Vaticano II appare lontano ben più di quei 40 anni che ci separano dalla sua chiusura. Finita la Dc la gerarchia cattolica si era chiusa in un certo silenzio, anche perché i suoi diritti erano garantiti dal concordato. Diritti e anche entrate: il famoso otto per mille. Poi, da qualche anno, l'uscita dal silenzio verso una nuova aggressività. Come mai? Forse la consapevolezza di poter fare e parlare di più; forse – direi soprattutto – la debolezza dei laici e dei loro argomenti. Forse alcune ferite ritenute particolarmente dolorose, come la omissione della menzione delle origini cristiane nell'Europa, forse la crisi di quel bipolarismo che aveva costretto la gerarchia cattolica a non prendere posizione. Forse la vecchiaia e poi la fine di un papa, la forte personalità del cardinale Ruini, la soddisfazione per la vittoria nel referendum sulla procreazione assistita. Così è nata la nuova offensiva: fra i nuovi temi, l'esenzione degli enti ecclesiastici dall'Ici, la condanna dei Pacs e della pillola Ru486; fra i temi vecchi in primissimo piano la questione dell'aborto, su cui la gerarchia cattolica torna quasi tutti i giorni. Non potendo dimenticare la sconfitta sul referendum si è inventata una campagna per la presenza dei volontari antiaborto nei consultori. Quale la risposta della cultura e della politica laica? Soprattutto quella della sinistra? Imbarazzo, a dir poco. Si insiste su quella famosa distinzione fra laici e laicisti, sempre valida, anche se vecchia, inutile e soprattutto scontata. Una posizione difensiva, tipica di chi si sente «quasi» in colpa.
Si insiste anche su quelli che sarebbero i confini all'interno dei quali il discorso della gerarchia cattolica è lecito e valido e al di fuori dei quali, invece, i vescovi non avrebbero il diritto di parlare; ma la linea di confine è difficile da delinearsi. Comunque non è facile in un paese democratico dichiarare illecita a qualcuno la pronuncia di qualche parola. Sarebbe meglio se i laici quella parola la discutessero, e lo fanno poco, forse perché pronti alle genuflessioni o perché troppo incerti sulle loro ragioni. Eppure ne hanno in abbondanza.
Basti pensare a quel pluralismo che oggi non può non determinare la nostra società e la nostra vita e i nostri matrimoni e le nostre famiglie. Non dovrebbe esserci più il bisogno di giustificarlo. È la gerarchia cattolica che, invece, dovrebbe avere difficoltà a giustificare certe sue posizioni, come quelle sui diritti negati ai conviventi o sulla proibizione dei contraccettivi. Tuttavia, anche all'interno del mondo cattolico si discute, si critica, ci si interroga: esistono altre voci oltre a quella del cardinale Ruini. E laicità non è negazione di qualche cosa ma affermazione di valori.
da il manifesto del 2 dicembre 2005, pag. 5