Un paese può dirsi laico quando le leggi e le istituzioni dello stato sono completamente indipendenti da qualunque influenza religiosa. In altre parole quando è stabilita una netta separazione tra dogmi e precetti di fede da un lato ed interesse pubblico dall'altro.
Del resto qualsiasi religione, anche la più diffusa, non può sperare di essere seguita dalla totalità di un popolo, ma al contrario deve accettare che vi saranno sempre interlocutori di altre religioni, e persone non credenti, che non condivideranno i suoi dogmi, ma che comunque saranno soggetti alle medesime leggi dello stato.
Molte religioni, però, sentono come missione quella di plasmare la società (e quindi le leggi) secondo i propri canoni e le proprie convinzioni su cosa sia giusto o sbagliato, ed è difficile sostenere che questo non sia, in fin dei conti, legittimo, se il tentativo è portato avanti seguendo le regole di una civile democrazia.
Ultimo tassello di questo quadro sono gli uomini politici, che all'atto pratico si trovano spesso a confrontarsi con disegni di legge che entrano in conflitto con le loro personali convinzioni religiose, oppure che al contrario sono state ispirate proprio dalla confessione alla quale appartengono.
In definitiva esiste sempre un aperto conflitto che si gioca su tre elementi: il primo è il principio di laicità dello stato, al quale ogni democrazia che voglia dirsi moderna deve appellarsi; il secondo è l'azione sociale delle religioni; il terzo è il comportamento dei politici.
Come può risolversi questo conflitto? Per capirlo facciamo un esempio pratico.
Immaginiamo che in un prossimo futuro la maggioranza degli abitanti italiani sia diventata seguace di una religione che consideri la medicina un grave atto di disobbedienza a Dio, il solo e unico avente il diritto di dare e togliere malanni. Mentre la minoranza degli abitanti continua a recarsi negli ospedali per curarsi, la maggioranza evita di assumere farmaci e di sottoporsi a visite, cosa che, almeno per quanto riguarda i maggiorenni, potrebbe essere considerata legittima anche nella nostra attuale società.
Dato che il parlamento rispecchierebbe statisticamente la popolazione è probabile che anche la maggioranza dei politici, magari suddivisa in partiti e coalizioni differenti, segua questo nuovo precetto.
Immaginiamo adesso che un giorno un parlamentare, alzandosi in piedi, proponga un disegno di legge per rendere illegale qualsiasi pratica medica in tutto il paese. Cosa succederebbe? Succederebbe che i parlamentari seguaci del nuovo credo si troverebbero a dover votare su un tema che li coinvolge molto da vicino. Se votassero "no" sembrerebbe loro di commettere un grave peccato contro Dio, non cogliendo l'opportunità di plasmare la società secondo ciò che è giusto, e lasciando che molte persone continuino a curarsi e quindi a perdere la salvezza eterna. Dall'altro lato imporre un precetto religioso a tutta la popolazione significherebbe violare il principio di laicità sancito dalla costituzione.
In parlamento scoppierebbe sicuramente una forte contestazione da parte delle minoranze non credenti o di altre religioni, che si appellerebbero al loro diritto di curarsi, mentre i segretari di partito, vedendo i loro movimenti spaccati da una questione morale sarebbero costretti a non dare indicazioni e a lasciare "libertà di coscienza" per il voto. La cosa grottesca è che i promotori della legge inizierebbero anche a sostenere che non si tratta di una legge religiosa, adducendo argomentazioni di interesse pubblico: lo stato risparmierebbe molti soldi dalla cessazione del servizio sanitario; per quanto ci si curi nascono continuamente nuove malattie e la morte resta inevitabile; allungare la vita è poco naturale e comporta un aumento della vecchiaia con tutti i dolori e le sofferenza che l'accompagnano; con i soldi risparmiati si potrebbero abbassare massicciamente le tasse aumentando la ricchezza di tutti.
Alla fine potrebbe darsi che anche altri politici non credenti si convincano dei benefici pubblici di questa legge e la votino, unendosi al gruppo di coloro che la votano per motivi di coscienza.
Sappiamo che nell'Italia di oggi, in una situazione analoga, la legge morale verrebbe approvata.
Cosa ci insegna questo fantasioso esperimento? Diverse cose, e nessuna buona:
1) sarà sempre difficile dimostrare che un disegno di legge sia "integralista", ovvero intenzionato ad imporre a tutti un precetto religioso, perché altre motivazioni sono sempre apportabili (ad esempio si potrebbe vietare il consumo di carne di maiale per il sospetto di qualche fantomatica infezione, si potrebbero mettere al bando i preservativi perché poco sicuri, ecc..), e perché la presenza di non credenti a sostegno della legge (statisticamente inevitabile) verrebbe indicata come prova che la legge non è integralista (si veda quello che è successo nell'approvazione della legge 40 sulla fecondazione medicalmente assistita).
2) votare secondo coscienza crea un meccanismo subdolo che fa si che precetti religiosi vengano imposti all'intera popolazione, contravvenendo al principio di laicità. Perché un cattolico dovrebbe votare, in fin dei conti, a favore dell'eutanasia o dell'aborto?
Da questo esempio sembrerebbe impossibile ottenere una piena laicità in uno stato in cui esiste una religione di ampia maggioranza. Eppure in diverse democrazie moderne moltissime leggi sono state approvate anche se contrarie ai precetti religiosi del culto dominante (si veda, ad esempio, il caso dei Paesi Bassi), e addirittura in Italia, negli anni settanta, sono state varate leggi come quelle sull'aborto e sul divorzio sebbene la chiesa abbia tentato tutte le strade per farle fallire.
Qual è dunque la ricetta per una moderna e civile laicità delle istituzioni? Una sola: una corretta formazione della classe dirigente. In altre parole bisogna che i politici vengano continuamente educati a reprimere l'innato istinto ad emanare leggi che seguano i propri principi religiosi. E' in questo che si distinguono le persone democratiche dai fondamentalisti, nella capacità di votare la legittimità di un azione che per la propria religione è un peccato, ma che, invece, per altre persone non lo è. Solo per fare alcuni esempi tutto ciò equivale per un musulmano, a permettere alla popolazione di bere alcolici e di consumare carne di maiale, per dei testimoni di Geova, a permettere a chi vuole di donare e ricevere sangue, per un cattolico, a permettere a tutti di praticare l'aborto o l'eutanasia, sebbene questi religiosi non metterebbero mai in atto queste azioni nella loro vita.
Si può sintetizzare il tutto con una frase d'effetto: integralista è colui che rende illegale il peccato. Al contrario il religioso democratico (e laico) è colui che permette alle altre persone di disobbedire ad un precetto.
Il difficile resta farlo capire ai politici.