Difficile, davvero difficile, leggere le prime pagine de “il manifesto” di oggi (30 Novembre 2011) e non commuoversi di fronte ai ricordi dei compagni di Lucio Magri che ha scelto di morire in una clinica svizzera. Magri era malato di depressione in seguito alla perdita della compagna di vita a cui era stato legato per un quarto di secolo, i suoi compagni de il manifesto conoscevano le sue intenzioni e hanno atteso insieme la telefonata che li informasse dell’avvenuto suicidio assistito. In questo ultimo viaggio è stato accompagnato da Rossana Rossanda fondatrice come lui del suddetto giornale. Erano i comunisti eretici della fine degli anni ’60, storie che hanno caratterizzato a fondo la sinistra italiana e che oggi molti conoscono pur essendo nati dieci o venti anni dopo quei fatti. Se c’è una cosa che colpisce è l’austerità e la sobrietà dei commenti, poco spazio per inutili retoriche sui migliori che se ne vanno, molto per i ricordi personali ma il tutto con un comune fattore, il rispetto per una scelta. Magari non condivisa, ma comunque rispettata in quanto scelta personale sulla propria vita. Valentino Parlato in particolare scrive: “il suicidio è una fondamentale libertà della persona. Chi è padrone della propria vita, come ogni umano lo è, può legittimamente e moralmente decidere di mettere la parola fine” . E se altri suoi compagni dicono senza mezza termini che il suo errore più grande è stato andarsene in questo modo (ad es. Luciana Castellina), comunque rispettano la sua scelta.
Ovviamente non possiamo sperare che questi discorsi così limpidi e coerenti possano modificare le opinioni di altre persone che hanno fatto dell’integralismo la loro ragione di vita. Per sintetizzare il credo di costoro basta leggere quanto scrive il teologo Luigi Lorenzetti sul sito di Famiglia Cristiana: “Nessuno ha un dominio incondizionato e assoluto sulla vita, così che possa arbitrariamente decidere se, come e quando darsi la morte. Se il non credente non arriva a comprendere (poveraccio, nda) che il padrone della vita è Dio, di certo può comprendere che il padrone della vita non è lo Stato. Questo, di conseguenza, non può concedere a nessuno, meno che meno al medico, la licenza di uccidere.” Infatti nessuno Stato e nessun medico ha ucciso Luigi Magri, si parla di suicidio (sebbene assistito); forse il teologo dovrebbe informarsi su quello di cui sta parlando. Ma del resto se in così tanti hanno fatto confusione (e persistono a farla in modo palesemente doloso) fra eutanasia e suicidio assistito, cosa possiamo aspettarci se non farfugliamenti confusi e stantii? Sono sempre granitiche le certezze dogmatiche, lo dimostra Giuseppe Sanzotta che sul sito de “il tempo” afferma: “Possiamo comprendere le ragioni di chi, agonizzante, chiede sia messa fine alla propria esistenza. Ma quelle cliniche dove si pagano 5 mila euro per morire non sono un simbolo di civiltà.” A parte il fatto che gli euro richiesti sono circa la metà, e non sono molti di più di quello che costa un funerale decente nel nostro paese, ma ci chiediamo: quali sarebbero i simboli di civiltà? Gli Stati che costringono i malati terminali ad aprire le finestre del quinto piano dell’ospedale e a buttarsi di sotto per porre fine alle proprie sofferenze? Gli Stati che condannano al carcere le persone che hanno fatto un gesto pietoso verso un consenziente che da anni vedevano tormentato dal dolore e dalle cure inutili? “Chi si suicida sarà severamente punito”. Queste parole, che sembrano prese da una striscia delle sturmtruppen e che invece riassumono la nostra “civiltà” invocata dal Sanzotta in opposizione alle cliniche svizzere, hanno senso? Se la risposta è no, come noi riteniamo, dovremmo smettere di essere ipocriti e rispettare veramente le scelte altrui perché “su se stesso sulla sua mente e sul suo corpo, l’individuo e’ sovrano” (J.S. Mill).
Alessandro Chiometti