Su Avvenire odi oggi un articolo di Umberto Folena dal titolo Voglia di sacro, l’Italia resiste commenta in maniera trionfalistica i risultati degli studi di Franco Garelli sulla religiosità in Italia, pubblicati in Religione all’italiana. L’anima del Paese messa a nudo, da domani nelle librerie. Le domande sono simili a quelle della precedente ricerca di Garelli condotta con altri studiosi, pubblicata nel 1995 nel libro La religiosità in Italia. Folena scrive sul quotidiano della Cei che “gli italiani costituiscono un’eccezione nell’Occidente” dal punto di vista della secolarizzazione e che “si dichiarano, e si dimostrano, altrettanto e più credenti” rispetto agli anni passati. Ma confrontando proprio il testo del 1995 di Garelli… – consultabile presso la biblioteca UAAR – e i risultati recenti, ci si rende conto che le cose non stanno proprio così. La secolarizzazione, sebbene in maniera più lenta anche a causa della pervasività del cattolicesimo, sembra avanzare, come emerge da un confronto critico dei dati. Basti analizzare i dati forniti da Garelli ieri e oggi su alcune questioni chiave come l’esistenza di Dio, la credenza nella vita dopo la morte, la frequenza ai riti religiosi e la pratica della preghiera.
Secondo i dati recenti, il 6,6% afferma che “Dio non esiste”, mentre il 6,2% si dichiara “indifferente”: quindi gli atei e gli agnostici ammonterebbero al 12,8%. Il 4,5% crede in qualche forma di “potere superiore”, l’11,7% crede in Dio “in alcuni momenti, non in altri”, il 25,1% nonostante risponde che “sebbene abbia dei dubbi, sento di credere in Dio”. Il restante 45,8% non ha dubbi sull’esistenza di Dio. Nel libro precedente le opzioni contemplate erano diverse, ma si nota una crescita dei non credenti. Alla domanda ‘Lei si considera personalmente credente?‘ il 53,5% si identificava con gli insegnamenti della Chiesa, il 30,5% credeva in Dio ma solo in parte negli insegnamenti della Chiesa, il 2,2% era credente ma non cattolico, il 6,4% non apparteneva ad una religione specifica sebbene credesse in Dio o in una “realtà superiore”. Quelli che negavano l’esistenza di un Dio o affini erano solo il 2,8%, il 2,7% si dichiarava “in ricerca” e l’1,8% aveva risposto “non ci ho mai pensato, non mi interessa, non saprei”.
Anche per quanto riguarda la credenza su cosa vi sia dopo la morte, lo scenario è simile. Il 14,6% risponde ora che non c’è “nulla”, il 21,4% non lo sa, il 22,5% sostiene di non poterlo sapere, il 36,3% crede che esista “un’altra vita”, il 3,5% crede ci si reincarni e l’1,7% restante risponde “altro”. Ma nel libro precedente il 10,40% aveva risposto “nulla”, il 21% di non saperlo, il 22,3% che non era possibile sapere, il 41,5% che c’è un’altra vita. Stabile il dato su coloro che credevano alla reincarnazione e l’1,1% aveva risposto “altro”.
La frequenza alle messe (esclusi matrimoni e funerali) è pure in calo. Il 21,8% risponde che non ci va mai, il 35,9% una o più volte l’anno, il 15,8% da una a tre volte al mese, il 26,5% ogni settimana o più. Nella ricerca del 1995 invece il 13% aveva risposto di non andarci mai, il 17,6% una o due volte l’anno, il 19,7% più volte l’anno, il 6,8% una volta al mese “circa”, l’11,7% due o tre volte al mese, il 25,6% ogni settimana, il 5,5% più volte a settimana.
Aumentano inoltre coloro che non pregano. Il 23,7% oggi risponde di non pregare mai, il 16,8% di farlo qualche volta all’anno, l’11,2% qualche volta al mese, il 15,8 lo fa più volte alla settimana e il 32,5% almeno una volta al giorno. Nella precedente ricerca, il 17,1% diceva di non pregare mai, il 13,5% qualche volta l’anno, il 10,9% qualche volta al mese, il 17,3% qualche volta alla settimana, il 29,2% “circa” una volta al giorno e il 12,1% più volte al giorno.