* di Roberto Vacca
I nomi non sono conseguenza delle cose, ma talora offuscano la comprensione di cose, situazioni, processi a cui si applicano. Accade con l'appellativo di 'laico'. Suggerisco di non usarlo. Derivò nel Medioevo dal greco 'laikòs' – del popolo (laòs) contrapposto ai chierici che hanno da Dio eredità (greco 'kleròs', sorte), quindi, privilegi e autorità e sfoggiano con la tonsura il loro stato. Io non voglio esser chiamato laico nel senso di non chierico. Non riconosco privilegi, né superiorità ai chierici. Le loro classificazioni non mi riguardano: la religione è cosa loro, e la considero con B. Russell 'falsa e dannosa' dunque incompatibile con la ragione e con il pensiero di chi vuol capire la realtà.
Chiamiamoci, dunque, 'normali'. Io non mi chiamo ateo: l'alfa privativo indicherebbe che mi manca qualcosa, mentre chi crede in un Dio creatore si carica di una sovrastruttura inutile. Non mi chiamo agnostico – uno che non sa. So parecchie cose e continuo a impararne, ma non pretendo di conoscere oggetti inesistenti. Posso chiamarmi 'gentile': appartengo a un'altra gens, a un'altra tribù, non a quelle dei monoteisti.
La questione centrale è culturale. I dibattiti attuali trattano di: fede in Dio o ricerca di Dio, di spiritualismo, sua definizione e status. Questa è l'arena in cui combatto.
Religioni: Inconciliabili con la ragione, insensato farne graduatorie
Nella Seconda Guerra Mondiale gli Alleati combatterono anche per la libertà di religione (oltre che di parola, dalla paura e dal bisogno). In Italia sono apparentemente libere tutte le religioni (anche se si tenta di rendere più libera – da certe imposte – quella cattolica). Non appare libera quella ellenico-romana che fu codificata da Numa Pompilio legando insieme le credenze popolari meno assurde e classificando come superstitio le assurdità che avanzavano. Oggi la superstizione è rappresentata da sensitivi, astrologi, oroscopari: certe persone sedicenti colte non la trovano nemmeno ridicola. Sarebbe considerato ridicolo riesumare la religione di Jupiter e Juno, di Mars e Venus. Certo contiene elementi assurdi come quella di Mitra che si diceva fosse nato in una grotta dalla vergine Anahita (ingravidata dal dio Ariman), che dava comunione di pane e vino, fu crocifisso a un albero, morì e risorse Queste tradizioni sono state incorporate nella fede cristiana insieme ad altre credenze, assunte come dogmi negli ultimi secoli. La pretesa convergenza di fede cristiana e ragione appare assurda se i credenti continuino a dire con Agostino da Tagasta e con Anselmo d'Aosta: 'Credo ut intelligam, non intelligo ut credam'. Questa posizione nega l'approccio logico-sperimentale (di Galileo, Newton, dei fisici e logici moderni) e sfocia nel proverbiale 'Credo quia absurdum' – negazione di ogni razionalità.
Noi riserviamo la nostra credenza in relazioni apparentemente assurde alla elettromeccanica quantistica. Non è irragionevole credere che un effetto si verifichi prima della sua causa, se questa ipotesi permette di prevedere i risultati di esperimenti con la precisione di una parte su 100 miliardi.
Abbiamo fatto molti passi indietro rispetto all'editto di Flavio Claudio Giuliano del 4 febbraio 362 (1115 a.U.c.) che stabiliva libertà religiosa per tutti. La religione cristiana non era più quella forzosa dello Stato, né era esentata dal pagare le tasse. E Giuliano si impegnò a non perseguitare nessuno a causa della sua fede.
Noi che apparteniamo alla grande moltitudine dei non credenti (come diceva Luigi Luzzatti) non siamo interessati a conciliare fede e ragione. Richiamiamo i ragionamenti di grandi pensatori. Basterebbe citare Kant: le sue dimostrazioni dell'insussistenza delle prove fisico-teologica, ontologica e cosmologica dell'esistenza di Dio sono rigorose, ma ardue da seguire. Riporto in termini scolastici la più lineare e cogente prova dell'inesistenza di un essere immutabile, causa di sè stesso e dell'universo.
Roberto Vacca
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