Tutela della non credenza e art. 19
Dalla lettura degli articoli della Costituzione che trattano le fondamentali libertà individuali nelle varie forme ed espressioni (artt. 2, 3, 7, 8, 19, 21) emerge l’assenza di una norma che affermi solennemente la libertà di pensiero e di coscienza, né si trova una menzione dell’ateismo e della non-credenza. Al contrario, la religione e ciò che la concerne (accordi con lo Stato, tutela, non discriminazione, ecc.) è ampiamente trattata negli artt. 3 e 19 che riguardano il diritto dell’individuo a praticare il proprio credo e negli artt. 7, 8, e 20 che si riferiscono alle religioni in quanto organizzazioni.
Con un simile diverso trattamento la nostra Costituzione ha voluto esprimere un giudizio di maggior importanza e valore del pensiero religioso nei confronti di quello non religioso, assegnando, al primo, ampio valore filosofico e sociale e lasciando a quello non religioso un mero interesse residuale, non ritenendolo meritevole nemmeno della generica tutela della libertà di pensiero (che abbiamo visto non è esplicitamente tutelata). Un quadro di norme in cui il pensiero non religioso non è protetto comporta una grave discriminazione nei confronti di coloro che credenti non sono e non si riconoscono in alcuna religione, oltre a contraddire il principio di uguaglianza dei cittadini sancito dall’art. 3 della stessa Costituzione.
In questa cornice legislativa discriminatoria è naturale che negli anni successivi all’approvazione della Costituzione ci s’interrogasse sul diritto del pensiero non religioso ad essere tutelato nella sua espressione individuale e associativa e in che modo. Rientra solo nella generale libertà di pensiero o può trovare la stessa tutela dei fenomeni religiosi la cui libera espressione è prevista dall’art. 19 della Costituzione, secondo cui tutti hanno diritto di professare liberamente la propria fede religiosa? Questo interrogativo aprì una disputa giuridica e il riconoscimento della tutela del pensiero non-credente impegnò i decenni successivi alla nascita della nostra Costituzione.
Da una parte si sosteneva che, in assenza di specifiche previsioni, l’art. 19 sulla libertà religiosa estendesse la sua tutela anche al pensiero agnostico ed ateo; tesi che trovava accesi avversari in coloro che sostenevano, appoggiandosi anche alla lettera dell’art. 19, che la tutela riguardasse solo la religione e non si applicasse anche al pensiero non religioso. Da parte di costoro si affermava inoltre che tutta la Costituzione riconosceva uno status privilegiato al pensiero religioso e non tutelava quello non religioso, da ritenersi irrilevante dal punto di vista giuridico o, addirittura, illecito nel caso si fosse proposto nella forma di ateismo attivo. Negli anni successivi l’inclusione della non credenza nella tutela dell’art. 19 e la sua equiparazione alla religione prese man mano forza grazie anche a nuove interpretazioni giuridiche della nostra Costituzione. Comunque il dibattito si protrasse a lungo, tra tentennamenti e ripensamenti, e si dovette giungere al 1979, con la sentenza n. 117, per vedere affermato chiaramente dalla Corte Costituzionale che la Costituzione tutela anche la libertà di coscienza dei non credenti e lo fa proprio con lo stesso art. 19 che si riferisce alla libertà religiosa, da ritenere comprensiva della corrispondente libertà negativa di non credere.
Da quel momento l’ateismo ha trovato una sua tutela che è potuto essere richiamata nelle successive sentenze dei giudici ordinari.
Questa interpretazione si è rafforzata nel tempo anche in conseguenza della forza vincolante che hanno avuto per lo Stato Italiano le Carte sovranazionali, come la “Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo” del Consiglio d’Europa e la “Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea”, nei cui testi si trova chiaramente espresso il principio della libertà di pensiero e di coscienza.
La vicenda dell’art. 19, conferma che i principi fondamentali, ancorché ovvi, come quello della libertà di pensiero/coscienza, di cui la libertà di non credere è una espressione, è opportuno che siano sempre esplicitamente e chiaramente affermati, in modo da sottrarli alle tentazioni interpretative che, non sempre in buona fede, possono sorgere ed affermarsi nelle diverse realtà politiche e sociali.
E’ motivo di compiacimento costatare come il pensiero giuridico abbia infine realizzato certe conquiste, anche se per arrivare a riconoscere piena dignità alla libertà di pensiero dei “non credenti” è stato necessario attendere oltre un trentennio, nel corso del quale le interpretazioni che volevano mantenere la supremazia, o addirittura la esclusiva tutela giuridica del pensiero religioso, si sono presentate in modo sempre energico, articolato e, per lungo tempo, vincente.
Nonostante oggi non esistano più dubbi o ostacoli in merito alla parificazione giuridica tra credenza e non credenza, dobbiamo prendere atto in modo scarsamente confortante che tale riconoscimento è avvenuto attraverso l’equiparazione del pensiero ateo e agnostico al pensiero religioso, mantenendo l’impressione che la religiosità sia superiore agli altri tipi di pensiero.
Dagoberto Frattaroli
(1) Sentenza della Corte Costituzionale n. 117 del 2 ottobre 1979 “Illegittimità costituzionale del giuramento davanti a Dio”.