Credenza e non credenza
La nostra Costituzione non tutela esplicitamente il pensiero di chi non crede in alcuna religione, mentre contiene molte norme a garanzia del pensiero religioso e dei culti. L’estensione delle garanzie costituzionali anche ai non credenti è stata riconosciuta solo nel 1979 dalla Corte Costituzionale (1) con una sentenza che ha dichiarato che l’art. 19 della Costituzione (2), che si riferisce al diritto di professare una religione, comprende anche il diritto opposto di non professarne nessuna.
Non si può che essere soddisfatti del risultato anche se il processo interpretativo con cui si giunti all’equiparazione presenta delle ambiguità. In primo luogo, perché l’estensione appare una forzatura alla luce del testo dell’art. 19 che indica in modo netto che la garanzia si riferisce solo alla religione e in secondo luogo perché è discutibile ritenere che la religione e la non credenza appartengano allo stesso genere tutelato dall’art. 19.
Equiparare i due fenomeni avalla l’interpretazione che il credere e il non credere siano due modi diversi di porsi di fronte al soprannaturale: l’uno che ne ammette l’esistenza e crede che sia abitato da entità incorporee, l’altro invece che, seppur con una gamma variegata di posizioni, non lo accetta ma comunque si interroga di fronte all’ipotesi religiosa di un mondo trascendente. Si tratterebbe dello stesso modo di porsi di fronte al problema cui si darebbero risposte opposte. Quindi una posizione filosofica diversa, ma sullo stesso piano.
Non sembra questo il modo giusto di porre la questione perché il credere e il non credere appartengono quasi sempre ad ambiti diversi. Per rendersene conto basta pensare alle forme di non credenza che non affermano nulla e non sostengono l’inesistenza di Dio in termini formali, ma si limitano a constatarne l’assenza dal mondo reale o la sua altissima improbabilità dal punto di vista delle scienze fisiche. Oppure alle diffuse forme di non credenza caratterizzate da indifferenza e totale estraneità verso il fenomeno religioso.
La comune radice delle opposte posizioni è stata alimentata e sostenuta da quanti hanno interesse ad affermare, nel dualismo affermazione/negazione, la priorità del pensiero religioso su quello non religioso e il conseguente maggior pregio di chi crede rispetto a chi non crede, a cui anche linguisticamente mancherebbe qualcosa.
La convinzione della superiorità morale e filosofica della religione rispetto ad altre forme del pensiero umano, trova una curiosa conferma anche nel campo dei diritti umani, le cui solenni dichiarazioni utilizzano una formula in cui la libertà di pensiero e di coscienza è affiancata alla libertà di religione (3). Un testo siffatto induce a pensare che la triplice elencazione indichi diverse categorie di diritti, mentre in realtà le libertà di pensiero e coscienza si identificano tra di loro e la libertà religiosa è un sottoinsieme della più ampia categoria di libertà di pensiero. La separata citazione alimenta l’equivoco che la libertà religiosa abbia uno status distinto e paritetico rispetto alla libertà di pensiero/coscienza e superiore ad altre libertà individuali non esplicitamente menzionate. Se pare corretta l’ipotesi che spiega la distinta triplice menzione con la necessità di dare maggior forza alla condanna delle persecuzioni religiose nei secoli scorsi presenti in Europa, un maggior rigore semantico da parte degli estensori delle Carte sovranazionali avrebbe evitato il perpetuarsi di confusioni filosofiche alla base di nuove dispute e divisioni.
Senza dire che è anche il diffuso preconcetto che colloca la religione su un piano superiore a ogni altra manifestazione del pensiero umano che ha autorizzato le Chiese ad avanzare il diritto-pretesa di un trattamento privilegiato rispetto ad altre grandi organizzazioni umane.
Dagoberto Frattaroli
(1) Sentenza della Corte Costituzionale n. 117 del 2 ottobre 1979, “Illegittimità costituzionale del giuramento davanti a Dio”.
(2) Il testo dell’art. 19 della Costituzione è il seguente “Tutti hanno diritto di professare liberamente la propria fede religiosa in qualsiasi forma, individuale o associata, di farne propaganda e di esercitarne in privato e in pubblico il culto, purché non si tratti di riti contrari alla buon costume.”
(3) Il riferimento è alla “Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo” Onu, alla “Convenzione per la difesa dei diritti dell’uomo” del Consiglio d’Europa e alla “Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea” che usano costantemente la formula “libertà di pensiero, coscienza e religione”.