Se la nostra Costituzione assicura un’ampia tutela alla religione e al suo esercizio – ben sei articoli vi sono dedicati – non contiene alcuna norma che enunci solennemente la libertà di pensiero e di coscienza, uno dei cardini cui si ancorano i diritti fondamentali dell’uomo.
Ciò induce a qualche riflessione.
La protezione del pensiero e della coscienza individuale è chiaramente sancita dall’art. 9 della “Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo” del Consiglio d’Europa : “Ogni persona ha diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione. Tale diritto include la libertà di cambiare religione o credo, così come la libertà di manifestare la propria religione o credo individualmente o collettivamente” e, con formule sostanzialmente analoghe, dall’art. 18 della “Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo” (Onu), e dall’art. 10 della “Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea” (UE).
L’assenza di un’analoga statuizione nella bozza della nostra Costituzione fu rilevata, durante i lavori di redazione della Carta costituzionale, da alcuni Padri Costituenti, e l’On. Labriola ne propose l’inserimento sotto forma di emendamento all’art. 8 che enunciava che “Tutte le confessioni religiose sono egualmente libere di fronte alla legge”. La proposta di modifica consisteva nell’integrare il testo originale con la formula “Sono pienamente libere le opinioni e le organizzazioni dirette a dichiarare il pensiero laico od estraneo a credenze religiose” che non corrisponde all’esplicito e solenne riconoscimento della libertà di pensiero e coscienza, ma ne costituisce comunque una importante manifestazione. Ma la proposta non fu approvata, con la giustificazione che la libertà di pensiero, qualunque pensiero compreso quello non religioso, fosse già adeguatamente tutelato dagli articoli 18 (libertà di associazione) e 21 (libertà di manifestazione del pensiero), ma soprattutto in quanto già rientrante nello spirito complessivo – quindi non scritto – della Costituzione.
L’idea che la libertà di pensiero/coscienza – nella quale è ricompresa quella di non professare alcuna religione – fosse implicita nello spirito della Costituzione e non avesse bisogno di essere espressa, fu condivisa ottimisticamente o forse ingenuamente in quella sede anche dalle forze formalmente laiche con la conseguenza che questa libertà fondamentale dell’individuo, forse la prima e più importante, non è citata nella nostra Costituzione – e i giuristi dovettero recuperarla in via interpretativa nel corso degli anni successivi – poiché si ritenne che “tutto lo spirito della Costituzione afferma il principio della libertà assoluta di pensiero e della manifestazione e diffusione delle idee ….indipendenti …..da quelle religiose” (intervento dell’on. Laconi a commento dell’emendamento Labriola citato).
Nonostante tali alte parole, per ottenere chiaramente il riconoscimento del diritto di pensiero/coscienza si dovette attendere il 1991 e una pronuncia della Corte Costituzionale, riguardante un caso di obiezione di coscienza, che prendesse atto che “la protezione della coscienza individuale si ricava dalla tutela delle libertà fondamentali e dei diritti inviolabili riconosciuti e garantiti dall’art. 2 Cost.” (1)
La successiva elaborazione di nuove norme sovranazionali, come la “Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo” del Consiglio d’Europa del 1950, e la “Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea” di Nizza del 2000 (poi riconfermata a Lisbona nel 2007), sono venute a colmare il vuoto normativo della nostra Costituzione e risolto integralmente il problema di questa omissione poiché il contenuto dei Trattati internazionali ha valore costituzionale ed è entrato quindi a far parte del nostro ordinamento, sanando così l’assenza dell’esplicito riconoscimento della libertà di coscienza.
Resta comunque aperto l’interrogativo storico del perché le Carte sovranazionali abbiano sentito la necessità di affermare esplicitamente l’esistenza di una libertà di “pensiero, coscienza e religione” mentre la nostra Costituzione ha ritenuto, a differenza di tali autorevolissimi documenti alcuni dei quali pressoché coevi, di poterne fare a meno.
Si ha l’impressione che nella nostra Costituzione qualche principio sia rimasto nella punta della penna. Troppe parole vi si trovano a tutela e a favore della religione, ma non una sola riga è riservata ad enunciare solennemente la libertà di pensiero dell’individuo (ivi incluso il diritto di non credere), la cui unica menzione indiretta la si trova all’art. 21 che tutela la libertà di espressione del pensiero, con parole od altri mezzi.
Anche la vicenda della tutela della libertà di pensiero/coscienza contribuisce a confermare l’impressione che la più gran parte dei nostri padri costituenti siano stati, per motivi diversi, benevolmente orientati verso la Chiesa cattolica tanto da scrivere una Costituzione in cui non è difficile ravvisare spiccate caratteristiche confessionali.
Dagoberto Frattaroli
(1) – Sentenza Corte Costituzionale n. 467/1991