E’ a tutti nota l’esistenza di accordi tra lo Stato Italiano e la Santa Sede, che vanno sotto il nome di Patti Lateranensi e di Accordo di modifica del 1984, ma spesso se ne parla senza avere la visione corretta e completa del loro contenuto. Si pensa genericamente che regolino i rapporti tra Stato Italiano e Chiesa, alla quale sono riconosciute condizioni di favore rispetto alle altre religioni. Si crede altresì che l’Accordo del 1984 abbia modificato i Patti precedenti nel senso di riequilibrare i rapporti a favore dello Stato.
Se si va però a leggere i documenti firmati dalle parti contraenti si coglie una realtà diversa da quella disegnata da tanti luoghi comuni. Innanzitutto, si riceve l’impressione di un contratto in cui le parti contraenti non sono su un piano di parità: una parte, quella cattolica, che riceve riconoscimenti (frequenti nel testo le parole “assicura”, “riconosce”, “garantisce”, “usufruisce”, “ha facoltà” a favore della Santa Sede) e un’altra, lo Stato Italiano, che concede, riconosce, eroga, senza ricevere niente in cambio. Non appare esagerato definirlo un vero e proprio “patto leonino”, senza che la parte debole, in questo caso lo Stato Italiano, abbia la possibilità di recedere dall’Accordo, poiché lo scioglimento è vietato dall’art. 7 della Costituzione italiana che impedisce la modifica dei Patti se non per volontà concorde delle due parti.
Se ci riferiamo in particolare all’Accordo del 1984 si nota che i quattordici articoli del testo mantengono la stessa impostazione dei Patti del 1929, con alcune differenze che lo rendono ben più gravoso per lo Stato di quello precedente. L’Accordo di revisione nacque con l’intento dichiarato di elaborare nuove norme per regolamentare gli enti e i beni ecclesiastici e per rivedere i rapporti finanziari tra Stato e Chiesa, con la sostituzione il vecchio meccanismo della “congrua” che consisteva in uno stipendio erogato mensilmente dallo Stato in favore dei Parroci cattolici. Il risultato dei lavori fu riversato in una legge (la n. 222 del 1985) che riconobbe tra l’altro personalità giuridica alla Conferenza Episcopale Italiana (Cei), agli Istituti per il sostentamento del clero e agli altri enti ecclesiastici, e introdusse un meccanismo di erogazione di fondi in favore della Chiesa cattolica, esteso successivamente alle altre confessioni religiose stipulanti un’intesa con lo Stato (art. 8 cost.).
Il nuovo sistema ha previsto la possibilità per i cittadini di esprimere la propria preferenza in due modi: attraverso la detrazione fiscale di contributi volontari e con la scelta della destinazione di una quota dell’8 per mille dell’Irpef da esercitare in sede di dichiarazione annuale dei redditi. Il contribuente ha facoltà di scegliere se destinare la quota allo Stato – per scopi d’interesse sociale e umanitario – oppure alla Chiesa cattolica per esigenze di culto, sostentamento del clero e interventi caritativi, o, infine, a una delle altre confessioni religiose che hanno stipulato l’Intesa con il Governo Italiano.
Sotto l’apparente lodevole previsione della facoltà di scelta per il cittadino in uno scenario di pluralismo religioso, è stato introdotto un meccanismo che nei fatti favorisce la religione cattolica attraverso una clausola che prevede l’assegnazione delle quote per scelte non espresse in base alle preferenze espresse. In tal modo la Chiesa cattolica che, ad esempio, nella dichiarazione dei redditi del 2010 ha raccolto l’82% delle scelte espresse, (mentre il 18% residuo è stato ripartito tra lo Stato e le altre religioni) si vede assegnato l’82% dell’intero 8 per mille nonostante abbia raccolto la preferenza di solo il 35% del totale dei contribuenti (1). E’ un meccanismo del tutto simile a quello del voto nelle elezioni politiche in cui c’è un numero totale di seggi che sono assegnati in base alle preferenze dei soli votanti.
Dai documenti emerge una circostanza poco conosciuta. Il meccanismo dell’8 per mille, al momento della sua introduzione, costituiva una novità e non si sapeva quali risultati avrebbe prodotto in termini finanziari. La Chiesa cattolica all’epoca nutriva dei dubbi sulla congruità delle entrate che sarebbero affluite nelle sue casse e l’allora Segretario di Stato di Stato Vaticano Agostino Casaroli manifestò i suoi timori in un discorso ufficiale: “Il nuovo sistema ……. stabilisce una diversa via per supplire alle insufficienze dei redditi dei beni della Chiesa, con il ricorso al libero e responsabile contributo dei fedeli…… La nuova disciplina presenta obiettivi elementi di minor sicurezza, e comporterà un notevole impegno di sensibilizzazione del popolo cristiano e di organizzazione a livello diocesano e nazionale” (2). A proposito di questa dichiarazione non si può fare a meno di rilevare lo stile del Segretario nel suo intervento che dichiarò che si ricorreva al contributo dei fedeli, dando l’impressione che si stesse parlando di offerte raccolte durante la Santa Messa, mentre in realtà si trattava del trasferimento di una parte dell’imposta Irpef di competenza dello Stato Italiano, già pagata dai contribuenti ed entrata a far parte del bilancio statale.
Nonostante i timori, il nuovo metodo di finanziamento si rivelò un successo per le finanze della Chiesa che ha visto negli anni triplicare, rispetto al passato regime concordatario del 1929, il contributo dello Stato Italiano, in precedenza limitato al solo sostentamento del clero. Per avere un’idea delle cifre di cui si parla, possiamo riferirci a quanto la stessa CEI ha deliberato circa la destinazione dell’8 per mille assegnatole per il 2013. A fronte di un importo complessivo di € 1033 milioni la Cei ha stabilito di destinare al sostentamento del clero la somma di € 382 milioni (3). Se fosse stato in vigore il vecchio sistema della congrua, lo Stato Italiano avrebbe erogato per il clero una cifra non molto diversa da questa, con la conseguenza che avrebbe risparmiato circa € 650 milioni ogni anno.
Il nuovo sistema di finanziamento, oltre all’anomalia costituita dalla clausola delle scelte non espresse che valgono come se fossero espresse, presenta altri due punti critici che ci limiteremo ad accennare: il primo relativo al fatto che, anche negli Accordi del 1984, il finanziamento aveva come “fine primario” il sostentamento del clero, cui è destinato soltanto il 37% del gettito assegnato alla Cei, e ciò fa sorgere qualche dubbio sulla legittimità di erogare la maggior parte del contributo per scopi diversi da quelle prefissati; il secondo aspetto critico, ben più importante, è che l’erogazione di un importo così ingente a favore delle Chiese, si parla di oltre un miliardo l’anno, fa sorgere qualche dubbio costituzionale sul rispetto del valore della laicità quale principio supremo dell’ordinamento costituzionale italiano. Un dubbio che si esprime con la domanda: uno Stato che eroga direttamente ogni anno una simile quantità di denaro a favore delle religioni può continuare a definirsi laico?
Tornando ai timori del Segretario di Stato Agostino Casaroli sulla congruità del finanziamento, questi non caddero nel vuoto e trovarono d’accordo lo Stato Italiano per inserire nell’Accordo una clausola di salvaguardia che prevedeva la nomina, a far tempo dal 1992, di una commissione paritetica che ogni tre anni avrebbe dovuto valutare il gettito Irpef e predisporre eventuali modifiche. La commissione, dopo oltre un ventennio, non è ancora stata convocata. E’ ragionevole prevedere che ove il gettito si fosse rivelato per la Chiesa insufficiente la commissione sarebbe stata prontamente nominata, ma di fronte al successo dell’iniziativa la Chiesa non ha alcun interesse a sollecitarne la nomina, imitata in questo anche dallo Stato italiano che, pur avendo interesse alla revisione di un meccanismo così gravoso per le finanze pubbliche, si è ben guardato dal prendere l’iniziativa.
L’onerosità dell’impegno assunto dallo Stato in conseguenza della revisione del 1984 spinge a interrogarsi sull’interesse avuto dall’Italia a rivedere i Patti lateranensi del 1929. In realtà sarebbe convenuto non modificare il Concordato poiché non si è ottenuto alcun vantaggio dalla sua revisione, mentre la Santa Sede ha migliorato la sua posizione rispetto al precedente accordo, rinunciando solo a veder definito il proprio credo come religione di Stato e a rendere facoltatività l’ora di religione nella scuole. A ben guardare la Chiesa ha rinunciato a due privilegi che non sarebbero stati più sostenibili perché, in seguito, sia l’anacronistica condizione di religione di Stato sia l’obbligatorietà dell’ora di religione per tutti gli studenti sarebbero state dichiarate anticostituzionali poiché lesive del principio di eguaglianza tra cittadini di cui all’art. 3 della Costituzione.
Il sistema multi confessionale disegnato dall’Accordo del 1984 che ha aperto a tutte le religioni introducendo un elemento di “concorrenza” con il Cattolicesimo ha disegnato di fatto una struttura di cui la Chiesa cattolica continua a occupare saldamente il vertice. In questo modo l’Accordo ha contribuito ad alimentare l’immagine di una Chiesa cattolica pluralista che consente democraticamente la presenza sul territorio di altre religioni, senza inficiare per questo una posizione monopolistica nei rapporti con lo Stato italiano, le cui scelte in materia religiosa ed etica sono effettuate tenendo presenti gli interessi ed i principi del Cattolicesimo. Permettere poi alle altre confessioni religiose di stipulare intese con lo Stato ha avuto in qualche modo l’effetto di “mimetizzare” i vantaggi concessi al solo Cattolicesimo.
Ci pare di poter concludere che nonostante il Papa dichiari che oggi la religione viene offerta e non più imposta, la Chiesa cattolica continua ad essere il soggetto privilegiato di un sistema legislativo di tipo semi-confessionale in cui a una religione è consentito di imporre a tutti, credenti e non credenti, i suoi balzelli e le sue verità attraverso le mille pieghe della vita quotidiana.
Dagoberto Frattaroli
(1) Citato nella Delibera assunta nel corso della 65^ Assemblea generale della Cei tenutasi a Roma dal 20 al 24 maggio 2013.
(2) Discorso del Segretario di Stato, Agostino Casaroli, al Presidente del Consiglio dei Ministri Italiano, l’on. Bettino Craxi, in occasione della firma del protocollo d’approvazione delle norme formulate dalla Commissione paritetica per le Istituzioni Ecclesiastiche in Italia – Villa Madama – Giovedì, 15 novembre 1984.
(3) Delibera Cei già citata