Dispiace dover sentire certe dichiarazioni da chi si è sempre distinto per onestà intellettuale e capacità critica. Dopo la notizia del suicidio assistito di Lucio Magri in Svizzera, il senatore Ignazio Marino si è lasciato sfuggire una frase che è sintomo del livello di inquinamento raggiunto dal dibattito su questi temi. «Non dividiamoci tra ‘pro vita’ e ‘pro morte’», ha detto, «il tifo da stadio non è giustificabile di fronte alla fragilità umana».
Accettare questa impostazione, queste etichette totalmente prive di un legame con l’oggetto che vorrebbero designare, significa che abbiamo già perso la battaglia, almeno sul piano culturale. Nel mondo anglosassone – dove il fondamentalismo dei ‘pro-life’ giunge a dei livelli di odio personale che sfocia persino nell’omicidio – i sostenitori della libertà di scelta si chiamano, con invidiabile rigore logico, ‘pro choice’. Il ‘partito della morte’ non è una categoria descrittiva, è un’arma retorica impugnata dai vari Sacconi, Roccella, Binetti e compagnia bella per attaccare chi sostiene, semplicemente, la libertà di ciascuno di decidere sulla propria vita (e, di conseguenza, sulla propria morte). E sarebbe un’arma ridicola e spuntata, se solo dall’altra parte – da questa parte – non si fosse così schiavi di un pesante retaggio culturale che impedisce di rivendicare apertamente e orgogliosamente la propria scelta per la libertà e l’autonomia.
Non esiste alcun tifo da stadio, almeno da parte di chi, con grande rispetto e spesso con profondo dolore, accetta le scelte di ciascuno come la manifestazione della sovranità di ogni individuo su se stesso, l’unica accettabile su questa terra. E l’unica che consente a chi poi vuole ‘delegarla’ ad altri – la medicina, la scienza, Dio – di farlo in piena libertà. Per questo la metafora dello stadio e dei tifosi è del tutto fuori luogo: allo stadio si fronteggiano due gruppi simmetrici, parimenti candidati alla vittoria. Qui siamo invece di fronte a un confronto del tutto asimettrico, tra chi difende la libertà di ciascuno (quindi anche del credente, persino della Binetti) e chi pretende di sapere e soprattutto di imporre cosa è giusto per ciascuno. Non c’è partita.