Le immagini con cui inizia il film di sua maestà Steven Spielberg fanno subito pensare che a noi cinefili manca un vero grande film storico che racconti le vicende della Guerra di Secessione Americana in modo esaustivo o per lo meno su qualche grande battaglia di questa.
Ci sono grandi film, come il classico dei classici Via col vento, ambientati in quel periodo ma quasi nessuno che racconti le vicende puramente militari.
Questa carenza resta ancora perché Lincoln è un film che si concentra sulla figura del presidente senza approfondire quasi per nulla le vicende militari in quanto tali.
Abramo Lincoln, interpretato da un Daniel Day Lewis bravissimo nonostante il pesante make up, emerge trionfalmente in questa opera cinematografica che era già in odore di premio Oscar da prima della sua uscita nelle sale. Ma l’attore londinese non è l’unico a dispensare pezzi di bravura nel film; sarebbe un delitto non citare Sally Field che interpreta la first lady con tutte le sue nevrosi e depressioni dovute alla scomparsa di un figlio. Altrettanto delittuoso sarebbe non citare Tommy Lee Jones nei panni del deputato repubblicano radicale Thaddeus Stephens sostenitore dell’uguaglianza razziale.
La storia si basa completamente sulle vicende che hanno portato all’approvazione del XIII emendamento che sancisce la proibizione della schiavitù negli Stati Uniti d’America, Lincoln capisce che era necessario approvarlo prima della fine della guerra di secessione perché in caso contrario non ci sarebbero state più le condizioni per farlo passare. Questo perché senza più la minaccia di secessione da parte degli stati del sud anche molti stati dell’unione avrebbero preferito non vietarla esplicitamente, mentre la sua approvazione in tempo di guerra sarebbe stato un ulteriore deterrente verso gli stati ribelli a continuare la guerra civile.
Il contrasto fra il pragmatismo politico di Lincoln e la sua capacità nel tenere in mano le due ali del partito repubblicano, quella radicale e quella conservatrice, contro l’ostinazione del partito democratico che era contrario al suo inserimento nella costituzione sono il fulcro della storia del film che mostra in modo eccelso come per ottenere risultati concreti in politica sia spesso necessario accettare il compromesso, sporcarsi le mani e finanche accantonare gli ideali più alti per raggiungere l’obiettivo alla portata di mano.
In tal senso la scena in cui il deputato radicale Stephens dichiara di non credere all’uguaglianza razziale in quanto tale ma solo all’uguaglianza davanti alla legge, questo per non spaventare le ali più conservatrici del parlamento delle conseguenze dell’emendamento proposto, è in tal senso emblematica e memorabile. Rimproverato dai suoi stessi colleghi dell’ala radicale che si meravigliano di lui e gli rinfacciano di essere in grado di dire qualunque cosa per ottenere un risultato lui rivendica il suo comportamento e ammette che non ci sarebbe niente che non potrebbe dire purché la schiavitù sia finalmente bandita dagli Stati Uniti.
È l’eterno dilemma della politica, sull’accettare o meno compromessi per ottenere risultati pratici, il film in questo senso è un’apologia dell’arte politica di Lincoln che è stato in grado di guidare il suo paese fuori da una guerra civile insidiosissima e di far si che il sacrificio fatto nell’affrontarla non sia stato vano.
J. Mnemonic