Esistono davvero le razze umane? Esistono davvero gli «altri diversi da noi» nell'ambito della comune specie sapiens? Un bianco è biologicamente diverso da un nero? E se c'è una qualche differenza, dove ha origine?
La parola razza è tornata di moda, nota il genetista Guido Barbujani. E con essa l'idea di altro. Di diverso da me. Anzi, di «diverso da noi». Dove il noi sta per le persone che normalmente frequento, che la pensano e si comportano come me. Che sento vicine a me.
Ma esistono davvero le razze umane? Esistono davvero gli «altri diversi da noi» nell'ambito della comune specie sapiens? Un bianco è biologicamente diverso da un nero? E se c'è una qualche differenza, dove ha origine? È a queste domande che risponde, con grande chiarezza, lo stesso Guido Barbujani, in un libro, L'invenzione delle razze,appena uscito per i tipi della Bompiani.
E già il titolo contiene, netta, la risposta. Il concetto di razza riferito agli uomini è una mera invenzione. Non solo e non tanto perché sfugge da sempre a ogni tentativo di definizione rigorosa (vedi scheda). Ma anche e soprattutto perché le scienze biologiche hanno dimostrato che «siamo tutti differenti, ma tutti parenti». In senso letterale. Ogni uomo è diverso da un altro. Ma ognuno condivide con ciascun altro almeno un antenato comune vissuto non più di tremila anni fa: siamo un'unica famiglia, sia pure allargata.
Le domande sull'esistenza delle razze umane, dicevamo, non sono nuove. E non sono neppure socialmente neutre. Sono anzi tornate di attualità con un certo clamore, dopo che la questione sembrava essere stata definitivamente risolta qualche anno fa. Tanto che alcuni tentano di giustificare politiche di discriminazione sociale sulla base di presunte e ineliminabili differenze razziali. Del tipo: i ricchi sono ricchi perché sono (geneticamente) migliori. E i bianchi sono più ricchi dei neri perché sono (geneticamente) superiori. Il libro di Guido Barbujani giunge più opportuno che mai a sbarazzare il campo da ogni equivoco: non c'è alcun fondamento scientifico al concetto di razza applicato all'uomo, all'idea di «altro da noi», alle teorie e alle prassi discriminatorie.
In realtà, quella di razza è una nozione utilizzata in biologia per classificare insiemi di individui di una medesima specie che presentano caratteristiche comuni e distintive. Tipiche sono le razze canine: ciascuno di noi è in grado di distinguere un cane di razza bassotta da un pastore tedesco. Questa nostra capacità di distinguere cani di razza diversa ha dei fondamenti biologici. Benché siano interfecondi e appartengano, quindi, alla medesima specie, un bassotto è geneticamente «altro» da un pastore tedesco. Nel senso che la variabilità genetica interna all'insieme dei cani bassotto è inferiore alla variabilità genetica media che esiste tra l'insieme dei bassotti e l'insieme dei pastori tedeschi. La corretta domanda, dunque, è: esistono razze anche all'interno della specie umana?
La domanda come abbiamo detto è stata posta già nell'antichità, ottenendo una serie variegata di risposte (vedi scheda). Occorre però attendere il 1859 e la pubblicazione dell'Origine delle specie perché Charles Darwin metta alcuni punti fermi nel dibattito.
Il primo è che le specie viventi, compresa quella umana, non sono entità statiche, ma si modificano nel tempo ed evolvono adattandosi ai cambiamenti dell'ambiente. Non ci sono specie o razze migliori in assoluto, ma solo specie e razze più o meno adatte a sopravvivere in un ambiente che cambia.
Un secondo e più diretto punto fermo Charles Darwin lo pone, tuttavia, dodici anni dopo, nel 1871, quando pubblica L'origine dell'uomo. Darwin sostiene la completa interfertilità tra le presunte razze umane, perché ciascuna «confluisce gradualmente nell'altra». L'uomo forma una sola e unica specie, perché quelle che vengono chiamate razze non sono abbastanza distinte da abitare una medesima regione senza fondersi. Anzi, queste presunte razze sono così simili le une alle altre, che non esistono due autori che abbiano ottenuto, cercando di classificarle in modo obiettivo, il medesimo risultato. Cosicché le differenze tra queste presunte razze, benché talvolta appaiano vistose, sono del tutto irrilevanti. Mentre, al contrario, vi è una grande uniformità nelle caratteristiche davvero importanti, comprese quelle mentali: malgrado le apparenti differenze che gli africani o gli indigeni d'Amazzonia mostrano rispetto agli europei, Darwin si dice colpito ogni volta che rivela persino dai tratti più piccoli del carattere «come le loro menti siano simili alle nostre».
La variabilità tra gli uomini, tuttavia, esiste, sostiene Charles Darwin. Anzi, è una caratteristica spiccata della specie. È una variabilità individuale. Ed è probabilmente il frutto di una selezione sessuale. Una selezione che il teorico dell'evoluzione biologica ritiene distinta dalla naturale.
Quello di Darwin è un autentico e autorevole manifesto antirazziale. Il primo contributo chiaro che il pensiero scientifico propone contro le discriminazioni tra le razze. Queste, sostiene Darwin, sostanzialmente non esistono.
Un ulteriore contributo all'idea che l'«altro da noi» non esiste, viene data settant'anni dopo dall'antropologo americano Franz Boas. Che nel 1940 pubblica uno studio sui caratteri antropometrici e morfologici dei figli degli immigrati negli Stati Uniti d'America in rapporto a quelli dei parenti rimasti nella madre patria. Benché con qualche superficialità di tipo statistico, Boas dimostra che gli effetti ambientali a breve termine sono importantissimi su parametri come la statura e che non ci sono sostanziale differenze tra immigrati provenienti da regioni diverse.
Non è l'antropometria, ma sono la genetica, l'antropologia e in particolare l'antropologia molecolare a porre la parola fine al dibattito sulle razze. Lo studio della caratteristiche genetiche tra gli uomini che vivono oggi sul pianeta e tra gli uomini che hanno vissuto sul pianeta nel corso dei millenni ha dimostrato che la specie umana è una sola, che ha avuto una medesima origine in Africa, circa 150.000 anni fa, e che al suo interno non ci sono ragioni obiettive per individuare una tassonomia di profili genetici ben definiti. Per tre motivi, molto ben chiariti già a partire dal 1970 dal genetista Richard Lewontin, poi dagli studi sistematici dell'italiano Luigi Luca Cavalli-Sforza e poi da una serie di studi più recenti cui lo stesso Barbujani ha dato contributi significativi.
1. Se si considerano singoli caratteri, o meglio singoli geni, essi sono sempre presenti in quasi tutte le popolazioni umane, anche se con frequenza diversa. In pratica, per la frequenza dei singoli geni, tutte le popolazioni umane si sovrappongono. E nessun gene può essere utilizzato per distinguere una popolazione umana dall'altra. Le popolazioni umane sono geneticamente molto simili le une alle altre. Tutte, in ogni caso, discendono da una medesima tribù vissuta in Africa circa 150.000 anni fa e diffusasi nei restanti quattro continenti a partire da 100.000 anni fa. Siamo tutti migranti africani. Veniamo tutti da lì. Cento millenni sono pochi per determinare significative divergenze genetiche tra gruppi di migranti. In ogni caso, qualsiasi accenno di divergenza tra popolazioni diverse sarebbe stato presto interrotto, perché in questi cento millenni tutte le popolazioni umane sono state in contatto tra di loro. Non c'è stata la possibilità di formare razze diverse.
2. C'è invece una grande variabilità genetica tra gli individui, tra gli uomini. Nessuno di noi porta i medesimi geni di un altro uomo. Tuttavia la gran parte di questa variabilità è anteriore alla formazione delle diverse popolazioni ed è probabilmente persino anteriore alla formazione della specie.
3.La variabilità genetica all'interno delle singole popolazioni, per esempio tra gli europei o gli italiani, è elevatissima. Mentre le differenze genetiche tra i tipi mediani delle diverse popolazioni, tra gli italiani e gli etiopi, per esempio, sono modeste e pressocché irrilevanti rispetto alla variabilità interna alle singole popolazioni. C'è maggiore differenza tra due italiani posti all'estremo di un profilo genetico, che non tra un italiano e un etiope posti al centro dei profili delle rispettive popolazioni. Le differenze tra le varie popolazioni della Terra sono continuamente annullate dalle migrazioni e dalla fusione tra individui che abitano le medesime regioni. Le differenze vistose che pure ravvisiamo tra le diverse popolazioni, per esempio il colore della pelle, sono marginali. Effetto di lungo periodo dell'adattamento al clima e, probabilmente, della selezione sessuale.
Richard Lewontin, in particolare, già nel 1970 aveva misurato la variabilità di 17 diversi geni in sette presunte razze (caucasici, africani sub-sahariani, mongoloidi, aborigeni dell'Asia del sudest, amerindi, oceanici, aborigeni australiani), trovando che l'85% della variabilità genetica umana è presente all'interno delle singole popolazioni, che l'8% è presente tra popolazioni diverse di diverse razze (per esempio italiani e tedeschi tra i caucasici) e che, infine, solo il 7% della variabilità totale è presente tra le varie razze. Dopo 35 anni di studi, su un numero di geni sempre maggiore e con tecniche di analisi sempre più sofisticate, l'attribuzione della variabilità genetica tra 16 diverse popolazioni dei cinque continenti non è sostanzialmente mutata: l'85% è già presente nelle singole popolazioni, il 5% tra popolazioni del medesimo continente e il 10% si verifica tra popolazioni di diversi continenti.
Non c'è dubbio, sostiene Barbujani: «più si studiano nuovi geni, più si fa esile la speranza di trovare chiari confini fra gruppi umani a cui possiamo dare il nome di razze».
Dopo aver letto il libro di Guido Barbujani siamo in grado di rispondere a tutte le domande che ci siamo posti all'inizio.
Domanda: esistono razze umane? Risposta: no, le raze umane sono una mera invenzione.
Domanda: esistono «altri diversi da noi» nell'ambito della comune specie umana? Risposta: ciascuno di noi è diverso da ogni altro, nessuno è «diverso da noi», qualsiasi sia il gruppo di umani che intendiamo con noi.
Domanda: un bianco è geneticamente diverso da un nero? Risposta: no. La massima diversità tra i bianchi e la massima diversità tra i neri è di gran lunga maggiore di quella media tra un bianco e un nero.
Domanda: e se c'è una qualche differenza, dove ha origine? Risposta: le differenze che ravvisiamo o sono geneticamente irrilevanti o sono una costruzione della nostra mente. L'«altro da noi» semplicemente non esiste.
L'invenzione delle razze
di Guido Barbujani