Con la benedizione del nuovo papa, i pro-life sono tornati ad alzare la voce. La nuova edizione della Marcia per la vita, andata in scena domenica 12 maggio nella capitale, ha visto sfilare noti volti politici (Alemanno, Roccella, Giovanardi, Gasparri, Meloni, Sacconi, Binetti) accanto ad altrettanto note associazioni cattoliche e fasciste (Opus Dei, Forza Nuova, Militia Christi, Movimento per la vita, Legionari di Cristo). Sotto a una croce di legno disseminata di feti di plastica, si è consumato l’ennesimo attacco non solo alla libertà delle donne, ma anche alla ragione, una qualità propria della specie umana che, tra le altre capacità, ha anche quella di saper riconoscere una verità da una menzogna. A iniziare dal marchio dell’iniziativa: “per la vita”.
È davvero “per la vita” chi vorrebbe abolire la legge 194 sull’interruzione di gravidanza che «regolamenta l’uccisione deliberata dell’innocente nel grembo materno»? Supponiamo di sì e proviamo, se non altro come utile esercizio logico, a credere che chi vuole vietare l’aborto abbia titolo per proclamarsi sostenitore di un valore universale come quello della vita. Ci si aspetterebbe, nel caso, che sulla croce al posto dei feti si inchiodino preservativi e pillole contraccettive. Ci si aspetterebbe di vedere, invece di cartelli inneggianti all'”omicidio” dell’aborto, striscioni di protesta per chiedere più consultori, corsi di educazione sessuale nelle scuole, accesso alla contraccezione gratuita per gli adolescenti e per le fasce più disagiate della popolazione. Ci si aspetterebbero, insomma, forti richieste di prevenzione per far diminuire realmente il numero di aborti.
Se coloro che si dichiarano pro-life fossero davvero per la vita e «la sua assoluta intangibilità dal concepimento alla morte naturale» come dichiarano, dovrebbero preoccuparsi di ciò che avviene prima di un concepimento non desiderato, reclamando a gran voce tutte le misure sociali e sanitarie possibili per evitarlo. Invece no. I pro-lifenon solo si schierano contro l’aborto (come se chi difende la legge 194 sia pro), ma anche contro ogni misura per prevenire il concepimento, che sia la diffusione dei contraccettivi, ordinari o d’emergenza, o le campagne di informazione ed educazione a una sessualità consapevole e responsabile. Il che porta in una sola direzione, che è quella del ritorno all’aborto clandestino, ai ferri da calza e alle mammane, magari ammantate oggi, rispetto a quarant’anni fa, di un camice bianco e – forse – di un titolo di dottore che a caro prezzo presta illegalmente e senza controllo i suoi servigi alle donne che possono permettersi di rischiare la salute e la vita (appunto). Perché i pro-life non sono “per la vita”, bensì contro la libertà di una scelta diversa da quella cattolica. Condannando la contraccezione insieme all’aborto, danno un’unica via d’uscita: l’astinenza, come Santa Romana Chiesa prescrive. Se la formula “sesso uguale peccato” non ha funzionato in tempi più oscuri e cattolicizzati di questo, il suggerimento non appare solo anacronistico, ma semplicemente ridicolo.
I veri antiabortisti, dunque, non sono quelli che vorrebbero abolire il diritto all’interruzione di gravidanza, ma quelli che difendono l’applicazione della legge 194 e si battono per la diffusione capillare dei consultori e delle campagne informative. Sono i ginecologi che non obiettano, incoraggiano l’uso dei contraccettivi, prescrivono la pillola del giorno dopo o dei cinque giorni dopo, secondo i fondamentalisti della Marcia «nuovi strumenti di morte» perché «minacciano la sopravvivenza stessa del genere umano» (sic!).
Sotto al richiamo della “vita” si celano dunque un inganno e una tragica beffa. Al punto che anche un progressista come il candidato sindaco della capitale Ignazio Marino, cattolico ma da sempre schierato in difesa dei diritti, così ha commentato la macabra iniziativa romana: «Non sono alla Marcia per la vita perché non voglio strumentalizzare politicamente un’iniziativa giusta. Io sono per la difesa della vita in ogni suo stadio». Ma chi può dirsi, in effetti, “contro la vita”?
E allora cominciamo a chiamare le cose con il loro nome invece di ricorrere a stucchevoli quanto menzogneri slogan. Questi esempi di virtù che sfilano nelle Marce per la vita, organizzano veglie di preghiera per i “bambini uccisi dall’aborto” istituendo, laddove presenti nelle amministrazioni locali, cimiteri per i “bambini mai nati”, si dichiarassero per quello che sono: contro la vita e la salute delle donne, contro la loro possibilità di scelta. La smettano di insultarci, oltre che con i loro veti fondamentalisti, anche con i loro scippi lessicali. I veri antiabortisti non sono loro.
Cecilia M. Calamani – Cronache Laiche