L’Italia secondo un principio riconosciuto dalla Corte Costituzionale e apparentemente accettato da tutti sarebbe uno stato laico. Ma la laicità non è un concetto assoluto. E’ una condizione variabile e cambia da Stato a Stato e se negli altri paesi la laicità ha registrato negli ultimi anni significativi passi avanti, in Italia si è andato a rilento accumulando un ritardo rispetto all’Europa.
Ma vediamo in concreto che cosa è stato fatto e cosa ancora rimane da fare.
Gli obiettivi che i sostenitori della laicità si erano proposti di realizzare consistevano ne:
- il riconoscimento delle unioni civili, sia etero che omo;
- la riduzione dei tempi necessari per la separazione ed il divorzio;
- il riconoscimento delle direttive anticipate di fine vita, altrimenti conosciuto come diritto al testamento biologico;
- l’introduzione di meccanismi che consentissero la piena e libera esplicazione della legge 194/1978 in materia di interruzione volontaria di gravidanza;
- la regolamentazione del fine vita volontario;
- la revisione del meccanismo dell’8 per mille.
Sono state approvate le norme sul divorzio breve senza soverchi problemi parlamentari e anche le norme sulle unioni civili, dopo un travagliatissimo iter, hanno visto la luce seppur in forma mutilata rispetto agli intenti dei promotori.
Le note positive si fermano qui.
Non sono stati fatti progressi sul riconoscimento delle direttive anticipate di fine vita ossia sul testamento biologico. Sull’argomento abbiamo assistito in passato alla presentazione di proposte di legge che proponevano soluzioni riduttive e penalizzanti, ma tenendo conto dei numerosi progetti giacenti in Parlamento è stata elaborata una proposta di mediazione più equilibrata, approvata da un solo ramo del Parlamento, permangono comunque alcune ambiguità che la rendono insoddisfacente. C’è da dire che la materia continua a vedersi parzialmente riconosciuta da molte amministrazioni locali e di questo stato di fatto dovrà tenere conto la futura legge.
Non è stato fatto granché nemmeno per eliminare o ridurre il fenomeno della obiezione di coscienza dei medici ginecologi riguardo alla interruzione di gravidanza che tanti e crescenti disagi sta causando alle donne che si trovano nella necessità di ricorrere all’aborto. L’obiezione aveva un senso per quei medici già presenti in ospedale al momento dell’approvazione della legge, perché sarebbero stati altrimenti costretti a praticare un’attività sino ad allora non contemplata dalla pratica medica della loro specializzazione, ma non si capisce perché ancora oggi deve continuare ad essere consentita l’obiezione per i medici assunti successivamente alla introduzione della legge che sono ben consapevoli della loro futura attività nelle strutture pubbliche.
Se la dichiarazione anticipate di trattamento navigano in acque tempestose, cozza contro un totale ostracismo ogni tentativo di introdurre forme regolamentari del fine vita volontario, sia esso nella forma di suicidio assistito, che di eutanasia passiva o attiva. Sono presenti in Parlamento tredici disegni di legge sull’argomento e una proposta di legge di iniziativa popolare firmata da 67.000 cittadini raccolte con la partecipazione di alcune associazioni laiche e atee. Dopo una prima riunione della Commissione parlamentare per l’esame della materia e l’elaborazione di un testo condiviso, non si è più andati avanti. La proposta di riforma costituzionale bocciata dal referendum del 4 dicembre 2016 prevedeva che le leggi di iniziativa popolare avrebbero dovuto essere esaminate dal Parlamento obbligatoriamente e in tempi definiti. Ma la norma non è stata introdotta e la proposta popolare non avrà ancora una volta seguito.
Ne’ c’è da credere che l’attuale governo e Parlamento ormai in fase di chiusura avranno la volontà, la capacità e la forza di spingere su un argomento così divisivo. Anche se la maggioranza dei cittadini si è espressa più volte per una regolamentazione del fine vita, c’è da pensare che il loro peso numerico non conterà molto davanti al fronte religioso il cui presunto primato morale ancora ispira riverenza e soggezione.
Per quanto riguarda l’ultimo argomento laico, ossia quello della revisione del meccanismo dell’8 per mille, più volte sollecitata anche dalla Corte dei Conti, ogni modifica non potrà che comportare un ridimensionamento del contributo assegnato alle diverse religioni riconosciute, prima tra tutte quella cattolica che incassa quasi il 90% del contributo complessivo. La revisione dell’8 per mille è uno dei punti contenuti nella legge delega conferita al Governo per la riforma fiscale ma per porre mano ad un simile argomento occorrerebbe un Parlamento con forte maggioranza laica, ma non è la situazione attuale dell’Italia. Non ci sembra che questo Governo di transizione né questo Parlamento abbiano la capacità di portare avanti una riforma di simile portata, anche perché ormai ne mancano i tempi.
Tutto è rinviato al 2018 e oltre. Forse molto oltre.
Dagoberto Frattaroli