Formalmente è un’ora facoltativa, della quale gli studenti possono o meno avvalersi. Nella pratica, invece, una scelta diversa dall’ora di ora di religione cattolica viene sempre più osteggiata.
L’ultima trovata della Regione Lombardia sul tema è un vero giro di vite per arginare le fughe dal ‘catechismo di Stato’: la scelta va fatta solo al momento dell’iscrizione nella prima classe. Non verrà quindi più proposta, al contrario di ciò che è sempre stato fatto, negli anni successivi. I genitori dei ragazzi che dovessero cambiare idea nel corso degli studi dovranno presentare esplicita richiesta in segreteria, ma la variazione avrà effetto solo dall’anno scolastico seguente.
«Chiedere ogni anno ai ragazzi se desiderano seguire religione, come succede in molte scuole, rischia di essere un invito a non farlo. Sarebbe come domandare loro se vogliono essere in classe per il corso di matematica: la tentazione di disertare è forte», commenta Marco Moschetti, insegnante di religione e membro del direttivo dell’ Associazione nazionale insegnanti di religione. Ecco qui spiegata la direttiva lombarda. Per evitare che i ragazzi disertino l’ora di religione, è meglio non ricordare loro che hanno la possibilità di non frequentarla.
Questo metodo, che sottende una certa tendenza coercitiva, non fa altro che perseguire la linea governativa in sostegno della Cei, la quale trae dall’ora di religione nelle scuole degli enormi ritorni in termini evangelici ed economici. I ministri dell’Istruzione dei governi Berlusconi, Letizia Moratti e Mariastella Gemini, hanno sempre più consolidato l’ora religione a scapito delle altre discipline (alle quali si continuano a tagliare ore di didattica) e del diritto degli studenti non cattolici. L’una e l’altra hanno fatto l’impossibile per stracciare quella pallida idea di equità che anche una disciplina facoltativa – e anticostituzionale – come la religione cattolica potrebbe comprendere.
Il vero colpo di mano è stato portato a segno da Letizia Moratti nel 2004 quando, con un concorso ad hoc (leggasi sanatoria), la maggioranza di loro – circa il 70% – è entrata a pieno titolo in ruolo nello Stato, sebbene la Curia di competenza mantenga il diritto di revoca dell’incarico in ogni momento. Il che significa, se ciò si verificasse, che i docenti di religione andrebbero a coprire altro ruolo nella scuola pubblica. Basta solo che possiedano idoneo titolo di studio, il concorso è condonato.
Ci si aspetterebbe, come minimo, che anche l’ora di didattica alternativa a quella di religione cattolica, prevista dall’ultimo riferimento normativo in materia, fosse a carico dello Stato. E invece no. Sono i singoli istituti, sempre più strozzati dai ripetuti tagli che si abbattono sulla scuola pubblica come una mannaia, a dover far fronte alle eventuali spese con i propri fondi. Il risultato lo potrebbe immaginare anche un bambino: la maggioranza degli istituti italiani, di ogni ordine e grado, non prevede attività didattiche alternative.
Diretta conseguenza di ciò è che molte famiglie di non o diversamente credenti, per evitare che i propri figli siano esiliati in altre classi durante l’ora di religione come sovente succede nelle scuole materne ed elementari, rinunciano al diritto di non avvalersene.
Per i più grandi, invece, si profila come alternativa il corridoio o l’uscita anticipata. Ma ecco intervenire un altro piccolo ricatto: a partire dal terzo anno di superiori, l’ora di religione concorre a maturare credito scolastico in vista dell’esame di Stato. E chi non la frequenta si trova, dunque, nell’impossibilità di maturare analogo vantaggio. Il meccanismo attira i ragazzi, a prescindere da cosa – e se – credano. Se la religione cattolica dà credito supplementare, perché non frequentarla?
Ecco quindi spiegate le cifre della Cei sulla frequenza all’ora di religione, che complessivamente vanta, nell’anno scolastico 2008-2009, l’adesione del 91% degli studenti delle scuole pubbliche.
Ciliegina sulla ricca torta ecclesiale, i moduli diramati dal ministero Gelmini per l’iscrizione al prossimo anno scolastico non prevedono la scelta di attività didattiche e formative per chi non si avvale della religione cattolica. Le possibilità, infatti, sono solo due: attività individuali o di gruppo con assistenza di personale docente e uscita dalla scuola. E’ prevista, ha precisato la ministra Gelmini tra i denti, l’eventualità che la scuola li personalizzi aggiungendo attività formative, ma alla fine questa ‘dimenticanza’ fa solo tirare un sospiro di sollievo agli istituti, che possono evitare di porsi il problema di fornire un’alternativa didattica. Non è contemplata neanche nei moduli ministeriali!
In questo clima, l’iniziativa della Regione Lombardia è ancora più chiara. Mira a scoraggiare ulteriormente eventuali rinunce in corso d’opera soprattutto alle superiori. Già nella sola Milano, il 30% degli iscritti al primo anno sceglie di non avvalersi della religione cattolica, e la percentuale sfiora il 50% nelle ultime classi.
Ricapitolando, non si forniscono alternative didattiche, si danno crediti scolastici (solo) ai ragazzi cattolici e ora non si informano neanche più studenti e genitori dei loro diritti. Fare una scelta diversa da quella caldeggiata dalla Cei e supinamente recepita dai ministri della nostra Repubblica diventa sempre più complicato e, soprattutto, meno conveniente per tutti. Passo dopo passo, si sta spianando il terreno per trasformare l’ora di religione in materia curriculare, come la Gelmini ha auspicato in più occasioni. E quando succederà, probabilmente gli italiani neanche se ne accorgeranno.
Cecilia M. Calamani – Cronache laiche