Savita Halappanavar, una trentunenne indiana residente in Irlanda, è morta di setticemia alla diciassettesima settimana di gravidanza. A seguito di complicazioni si era rivolta il 21 ottobre all’ospedale universitario di Galway dove le avevano diagnosticato un aborto spontaneo. La donna aveva quindi chiesto di avere accesso all’interruzione di gravidanza ma i medici avevano rifiutato perché era ancora presente il battito cardiaco nel feto e per la legislazione irlandese ciò basta per vietare l’aborto dopo la nona settimana (aborto consentito, per altro, solo se la madre è in pericolo di vita). La donna, in preda a forti dolori, aveva continuato a chiedere di interrompere la gravidanza ma il personale dell’ospedale alla fine le aveva risposto: «Questo è un Paese cattolico». I dottori hanno estratto il feto giorni dopo, quando il battito cardiaco era scomparso, ma questo ritardo ha provocato la morte della donna il 28 ottobre e sul suo decesso ora è stata aperta un’indagine.
Dal 18 ottobre nella cattolicissima Irlanda è possibile ricorrere all’aborto. Si può farlo nella clinica Maria Stopes nel centro di Belfast – quindi nella parte di paese appartenente al Regno Unito – dove pur non essendo valido il divieto di effettuare interruzioni di gravidanza, vigente dal 1967 nella Repubblica d’Irlanda, si è sempre evitato di praticarle per non alimentare le tensioni con la componente cattolica della popolazione. Il giorno in cui è stata aperta la clinica Maria Stopes gli antiabortisti sono scesi in piazza a protestare e la polizia ha dovuto presidiare la struttura per tutelare l’incolumità dei pazienti e del personale.
Come riporta il Time l’apertura della clinica ha inevitabilmente acceso il dibattito in tutta l’Irlanda, dove la Chiesa cattolica può contare nell’adesione dell’84 per cento della popolazione e ha sempre svolto un ruolo importante nelle decisioni politiche, anche se i recenti scandali di preti coinvolti in casi di pedofilia ne hanno scalfito il prestigio. Un paese, però, che sta cambiando e che vede il 54 per cento degli elettori a favore della legalizzazione dell’aborto contro il 37 di qualche anno fa.
Nel 2010 la Corte dei diritti dell’uomo ha accolto il ricorso di una donna lituana, incinta e malata di cancro, che ha denunciato l’Irlanda perché il divieto di aborto comprometteva la sua vita. La sentenza ancora non è stata emessa ma sia i gruppi no-choice che la Chiesa cattolica sono scesi in campo opponendosi ad ogni forma di legalizzazione dell’interruzione di gravidanza. Attualmente in Irlanda abortire è legale solo se la vita della madre è in pericolo ma non esiste alcuna normativa che preveda cosa si intende per “rischio di vita per la madre” e i medici, temendo sanzioni penali e professionali, evitano di praticare qualsiasi aborto, producendo effetti drammatici. Nonostante il decesso di Savita Halappanavar, per i “pro-life” resta prioritaria la tutela della “libertà religiosa”. Come riferisce Marco Tosatti sulla Stampa, l’Osservatorio sull’intolleranza contro i cristiani in Europa ha recapitato all’Osce (Organizzazione per la cooperazione e la sicurezza in Europa) un dossier sulle “persecuzioni” contro i cristiani: fra le “discriminazioni” subite quella di non poter manifestare davanti alle cliniche in cui vengono praticati gli aborti.
Forse la polizia non ha tutti i torti nell’impedire ai no-choice di protestare davanti gli ospedali. Oltre ad ovvi motivi di privacy a tutela delle pazienti, in Polonia gli attivisti anti-aborto hanno aggredito una ragazzina di quattordici anni che voleva ricorrere all’aborto a seguito di uno stupro impedendole di salire su un taxi.
Cagliostro – Cronache Laiche