Accade che a Cremona, nella scuola primaria Manzoni, da 15 anni il Natale venga festeggiato in chiave multiculturale come ‘Festa delle luci’. Accade che quest’anno, in un clima di regressione medioevale che non registravamo da secoli, la ‘Festa delle luci’ divenga oggetto di una interrogazione parlamentare di Isabella Bertolini (Pdl), la quale vuole “fermare l’ennesimo attacco ad uno dei simboli della nostra tradizione”. Accade che la sostenga Luca Zaia, ministro delle Politiche agricole, alimentari e forestali, che ha definito la festa cremonese “un harakiri culturale perpetrato da un finto educatore sulla pelle dei nostri bambini“.
Forse è il caso di rinfrescare, per chi ha memoria corta, le origini del Natale. Adottato a forza dalla cristianità come tutte le festività pagane, l’attuale Natale altro non era, per le popolazioni precristiane, che la celebrazione del solstizio d’inverno (oggi convenzionalmente fissato il 21 dicembre), il momento dell’anno a cui corrisponde, a causa della posizione che il sole assume rispetto al piano equatoriale, la notte più lunga e il giorno più corto.
Questo fenomeno veniva anticamente interpretato in chiave religiosa: il sole, giunto al minimo della sua forza e della sua potenza, sembrava improvvisamente rinascere, riconquistava le tenebre e diventava invincibile. Ed ecco che nei giorni a ridosso del 25 dicembre i Romani festeggiavano il Sol invictus (sole invincibile), gli Egiziani la nascita di Horus, gli Indopersiani quella di Mitra, i Siriani quella di El Gabal, i Greci quella di Helios.
L’elenco delle divinità festeggiate nel mondo durante il solstizio d’inverno è lunghissimo, ad indicare come il culto del dio Sole fosse radicato in tutte le civiltà antiche.
Fu Aureliano il primo imperatore romano a istituire ufficialmente il 25 dicembre la festa del Sol invictus, nel 274. Costantino poi, nel 330, trasformò la ricorrenza in festa cristiana facendovi coincidere la nascita di Cristo, fino ad allora festeggiata in date diverse a seconda del luogo (ma più diffusamente il 6 gennaio, giorno in cui poi venne celebrata l’Epifania).
Ricordiamo anche che fu sempre Costantino a cambiare nome all’ultimo giorno della settimana, che da dies solis (giorno del sole, significato che ancora rimane nell’inglese sunday e nel tedesco sonntag) diventò dies domini (giorno del Signore).
Nonostante l’ufficializzazione della data di nascita di Cristo, il culto del dio Sole rimase ben radicato persino nelle popolazioni cristiane, come scriveva nel 460 Papa Leone Magno: ”E’ così tanto stimata questa religione del Sole che alcuni cristiani, prima di entrare nella basilica di San Pietro, dopo aver salito la scalinata, si volgono verso il Sole e piegando la testa si inchinano in onore dell’astro fulgente. Siamo angosciati e ci addoloriamo molto per questo fatto che viene ripetuto per mentalità pagana”.
Ci vollero la soppressione del culto di Mitra, le persecuzioni dei riti politeisti dovute a Teodosio e i decreti di Giustiniano sulla chiusura dei tempi pagani per far sì che il Natale si affermasse lentamente – e per editto – come festa cristiana in tutto l’Impero.
Oggi, a distanza di tanti secoli, la Chiesa cattolica – appoggiata da una politica governativa di convenienza – si trova di fronte allo stesso problema: sradicare interpretazioni diverse e sancire (ancora!) che il Natale è solo e unicamente il simbolo della cristianità.
Forse a definirla regressione medioevale siamo stati fin troppo indulgenti. Sta di fatto che nel 2009 una interrogazione parlamentare al ministro dell’Istruzione attende risposta.
Cecilia M. Calamani – Cronache Laiche