Come è stato scritto su Giap alcuni giorni fa, l’inchiesta sui rapporti tra il PD e i neofascisti ha provocato i primi scossoni. Il caso che ha smosso le acque è quello di Nereto – allargatosi velocemente al teramano, da Bellante alle esternazioni xenofobe su FB del segretario del PD di Alba Adriatica – dove si sono registrate diverse iniziative organizzate dall’associazione Nuove Sintesi (che fa parte del network di Lealtà e Azione) in comuni amministrati da sindaci del Partito democratico.
Diversamente da quanto successo in precedenza, quando il PD aveva reagito alle nostre segnalazioni minimizzandole (o peggio, rispondendo sulla falsa riga del sindaco di Predappio Giorgio Frassineti), queste ultime sono state accolte diversamente sia da parte di alcuni deputati – Emanuele Fiano e Marco Miccoli – che da Andrea Catena, dirigente regionale (Abruzzo). Catena, in particolare, si è subito attivato, coinvolgendo il segretario generale del PD Abruzzo, Marco Rapino: prima inviando una nota “circolare” ai sindaci PD abruzzesi per “avvisarli” della natura dell’associazione Nuove Sintesi, poi predisponendo il deferimento al comitato dei garanti per il sindaco di Bellante e per gli altri componenti della giunta che avevano deliberato i patrocini alle iniziative organizzate da questa associazione. Il deferimento potrebbe portare all’espulsione dal PD perché, parole dello stesso Catena, «se un sindaco Pd partecipa a iniziative neofasciste è prevista l’espulsione». Sempre Catena si è anche detto favorevole al commissariamento dell’intero coordinamento provinciale PD di Teramo.
È possibile però non agire solamente a fatti avvenuti (e dopo una campagna di denuncia) ed evitare che queste iniziative si svolgano in spazi pubblici? La risposta è affermativa: alcuni casi possono già essere offerti come esempio, anche se, come vedremo, l’attuazione di quanto previsto avviene tra varie difficoltà, anche sul piano “interno” al PD oltre che per la scontata opposizione delle destre. Questi i casi dei comuni di Riva del Garda e di Arco, in provincia di Trento, e del comune di Pavia.
Il 14 giugno 2017 il Consiglio comunale di Arco, la quarta città della provincia di Trento in ordine di grandezza con i sui oltre 17.500 abitanti, ha approvato una mozione il cui titolo può sembrare strano: «Misure di prevenzione della propaganda totalitarista e per la promozione del decoro nel territorio». In realtà l’obiettivo è quello di contrastare l’azione delle organizzazioni neofasciste facendo riferimento alle leggi Scelba e Mancino, mettendo in chiaro fin dalle prime righe che: «l’antifascismo è la radice ideale e culturale da cui nasce la Repubblica Italiana e la sua Costituzione democratica la quale rappresenta il metodo democratico contro ogni forma di totalitarismo».
La mozione è stata presentata dalle forze politiche della maggioranza uscita dalle elezioni comunali, ovvero dalla Lista Arco Bene Comune, dal Partito Democratico, dal Partito Autonomista Trentino Tirolese, dall’Unione per il Trentino (il centro cattolico-moderato) e dalla Lista Civica “con Betta” (il sindaco in carica). Il testo impegna la giunta a:
- imporre come requisito necessario per l’assegnazione di spazi e contributi pubblici il non aver subito condanne, anche con sentenza non definitiva, per reati di cui alle leggi elencate in premessa [cioè le leggi Scelba e Mancino];
- prevedere, nei moduli di richiesta di utilizzo di spazi pubblici (a titolo semplificativo ma non esaustivo: siano essi edifici o sale pubbliche) da presentare al momento della richiesta di 3 autorizzazione, una dichiarazione esplicita di riconoscimento nei valori antifascisti espressi dalla Costituzione italiana;
- istituire meccanismi di intervento impeditivo per quanto riguarda l’assegnazione di contributi, patrocini o altre forme di supporto e sostegno ad associazioni che, pur avendo sottoscritto la suddetta dichiarazione, presentino richiami all’ideologia fascista, alla sua simbologia, alla discriminazione etnica, religiosa, linguistica o sessuale, verificati a livello statutario, ove lo Statuto è presente, sui siti internet e sui social network, o nell’attività pregressa oppure per accertata violazione delle leggi in materia;
- istituire analoghi meccanismi da inserire nel regolamento della fruizione delle sale pubbliche per la concessione delle stesse;
- richiedere maggiore vigilanza al corpo di Polizia Locale dell’Alto Garda e Ledro nel contrasto alle fattispecie di cui sopra ed in particolare alla diffusione di volantini davanti agli istituti scolastici inneggianti alla discriminazione, all’odio e alla violenza per motivi sessuali, linguistici, etnici o religiosi;
Una mozione dai contenuti quasi identici è stata approvata anche dal vicino comune di Riva del Garda, amministrato sempre da un «centro sinistra largo» come Arco, il 23 giugno 2017.
Perché proprio in due tranquille cittadine nei pressi della sponda settentrionale del lago di Garda è stata approvata questa mozione? Il testo stesso cita una serie di fatti assurti alle cronache locali e monitorati dall’Osservatorio contro i Fascismi del Trentino – Alto Adige/Südtirol che fanno comprendere come anche dietro la facciata quieta e ben curata di una zona turistica come l’Alto Garda l’azione di organizzazioni come Casa Pound possa creare un clima di intimidazione squadrista e di violenza diffusa.
Il 17 maggio 2014 ad Arco un giovane è stato accoltellato da due neofascisti poi condannati in primo grado per «lesioni dolose». Questa aggressione fa parte della lunga serie di pestaggi e accoltellamenti verificatisi da quando Casa Pound ha iniziato le sue attività in Trentino, elencati nel dossier «Un anno di Casa Pound a Trento: storie di squadrismo, propaganda e Blackout mediatici», pubblicato nell’aprile 2015 dall’Osservatorio contro i Fascismi del Trentino – Alto Adige/Südtirol. Più di recente sempre i «fascisti del terzo millennio» si sono resi responsabili dell’accoltellamento di un militante antifascista a Trento nell’aprile 2016, atto del quale è stato accusato il gerarchetto trentino di Casa Pound, e del pestaggio di alcuni studenti davanti all’ingresso del liceo Prati di Trento.
La zona dell’Alto Garda è ormai da alcuni anni il luogo in Trentino in cui è più radicata la presenza neofascista, che può contare su decine di militanti. Presenza che si esprime anche attraverso una specie di marchiatura del territorio con adesivi, striscioni e scritte murali. Quando nell’aprile 2016 gli aderenti e simpatizzanti dell’ANPI Alto Garda e Ledro, tra cui alcuni anziani e almeno un amministratore locale, hanno indetto una giornata di «Pulizia etica» per rimuovere gli adesivi e gli striscioni abusivi sono stati insultati e minacciati per ore da un folto gruppo di militanti di CasaPound mentre le «forze dell’ordine» si limitavano ad evitare che tra i due gruppi potessero esservi contatti.
Le minacce e le intimidazioni nei confronti degli antifascisti sono evidentemente una cosa normale in zona visto che come afferma il testo della mozione:
da più parti sono arrivate segnalazioni di volantinaggio, provocazioni ed aggressioni verbali e fisiche e azioni di intimidazione da parte di squadracce neofasciste agli ingressi delle scuole superiori della città e in occasioni di ritrovi giovanili.
Nell’Alto Garda sono emersi collegamenti che rimandano a cose anche peggiori delle aggressioni. Lì aveva infatti trovato ospitalità Giovanni Battista Ceniti, l’esponente di Casa Pound che il 3 luglio 2014 ha assassinato a Roma il cassiere di Gennaro Mokbel, Silvio Fanella.
Come ricostruito da un articolo di Andrea Palladino, sempre su Il Fatto Quotidiano, Ceniti, originario di Verbania in Piemonte, sosteneva di recarsi ad Arco nei fine settimana dove avrebbe dovuto gestire la pizzeria «Avalon», ma gli atti della Camera di Commercio smentiscono che egli sia stato uno dei proprietari del locale ed il suo gestore, Giovanni Battista Deledda, afferma di non conoscerlo ma di aver ricevuto la visita «di persone strane» dopo l’uscita della notizia, che lo avrebbero intimidito spingendolo a rivolgersi alla polizia.
Ceniti di sicuro però frequentava un pub di Riva del Garda, il «Moby Dick», uno dei locali gestiti da Walter Pilo, l’imprenditore animatore della «associazione culturale» neofascista «L’Uomo Libero» che nel 2010 organizzò una spedizione in Kossovo cui parteciparono sia Ceniti che il leader di Casa Pound Gianluca Iannone.
Come scrive Palladino:
«Dietro la vetrina immacolata di Riva del Garda si nasconde una presenza neofascista ormai consolidata. Qui ha esordito in politica Cristano De Eccher, l’ex senatore di Forza Italia noto per avere proposto l’abrogazione delle norme costituzionali che vietano la ricostituzione del partito fascista. Un principe trentino nerissimo, con un passato in Avanguardia nazionale, che entrò nell’inchiesta su Piazza Fontana per i suoi stretti rapporti con Franco Freda. E in Trentino – ad una quarantina di chilometri da Riva del Garda – si era rifugiato anche un volto noto del panorama fascista milanese, Alessandro Todisco, detto Todo».
La mozione approvata dal comune di Arco risponde proprio a questa situazione inquietante che sembra inconcepibile in un posto all’apparenza tranquillo come il Trentino. La volontà dei suoi estensori è stata quella di voler evitare che i simpatici personaggi di cui si è parlato possano avere accesso a sale e fondi pubblici per le loro attività visto che: «spesso le iniziative dei gruppi neofascisti vengono realizzate con associazioni prestanome non immediatamente riconducibili ad idee neofasciste». Ovvero associazioni il cui nome non ha nulla di apparentemente «politico» ma che consentono ai neofascisti di ottenere fondi e sale dove presentare libri, tenere conferenze, proiettare film, ecc. Si tratta di un passaggio fondamentale per arrivare alla normalizzazione del fascismo, alla sua accettazione sociale fuori dai contesti «di area».
«Mamma stasera esco vado con gli amici in biblioteca comunale alla presentazione di un libro dei ragazzi di CasaPound».
«Oh che bravi! Che libro è?»
«Il racconto di un’esperienza di volontariato artistico: “Futurismo e Zyklon B contro il degrado” di Italo Scannamuorto»
«Mi raccomando, copriti bene che fa freddo!».
Evidentemente questa prospettiva non preoccupa affatto alcune realtà dell’associazionismo locale che trovano troppo «politico» sottoscrivere un modulo in cui affermano di riconoscersi nei valori della costituzione della Repubblica italiana. Ad esempio il presidente del Bacionela Club Gianfranco Benatti ha rifiutato di firmare il modulo ed ha inviato una lettera di protesta e, secondo quanto riportato in un articolo de Il trentino, ha affermato:
«Noi non chiediamo ai nostri soci da che parte stanno politicamente – il senso della lettera scritta da Benatti – e non saprei dire se qualcuno ha pene passate in giudicato per reati legati all’ideologia nazifascista. In ogni caso, qui al Bacionela ci occupiamo di tutto tranne che di politica»
Sulle stesse posizioni Carlo Modena del Virtus Alto Garda. Ma il primo a rifiutare è stato l’organizzatore di Carnevalestate, Mario Matteotti, addirittura ex consigliere comunale del PCI, che ha avuto l’onore di essere indicato da «Il Giornale» come capofila della rivolta contro la legge liberticida.
Sottoposto a questo fuoco di fila il sindaco di Arco Alessandro Betta non fa marcia indietro ma cerca di stemperare i toni e prospetta un regolamento che consenta di evitare lo scontro frontale con le associazioni coinvolte:
«Il dispositivo approvato è di tipo politico, poi l’amministrazione deve trovare la sua attuazione secondo le normative. Visto che Riva ha approvato un dispositivo analogo al nostro, collaboreremo proprio con Riva che vuole coinvolgere anche il Commissariato del Governo per fare l’attuazione secondo le normative vigenti arrivando ad un regolamento. Ne ho parlato con Mosaner e avrei raggiunto un accordo in tal senso, con i segretari che hanno il mandato esecutivo. Una volta che vi sarà il relativo responso comunicheremo il tutto e poi si procederà con gli incontri plenari con le associazioni. Si ribadisce inoltre – conclude Alessandro Betta – la nostra posizione politica contro ogni forma di fascismo e di sostegno alla memoria».
Occorre notare come le amministrazioni di Riva ed Arco siano state di fatto lasciate sole nella loro battaglia, l’unico plauso verso la loro azione è arrivato dall’ANPI e dalle realtà di movimento che animano l’Osservatorio contro i Fascismi del Trentino – Alto Adige/Südtirol. Il PD trentino si è limitato a ricopiare sul proprio sito un’intervista rilasciata a Il Trentino dall’ex partigiano ed ex deputato socialista Renato Ballardini che ha difeso l’azione delle due amministrazioni:
«Dichiararsi antifascisti dovrebbe essere un’ovvietà poiché si tratta di riconoscere i valori che sono scritti nella nostra Costituzione e sinceramente non comprendo dove sia la difficoltà nel sottoscrivere una cosa ovvia».
D’altronde provate un po’ ad immaginare cosa sarebbe successo se un Imam o un’associazione culturale islamica si fosse azzardata a non firmare un modulo per dichiarare la propria adesione ai valori costituzionali e la condanna del terrorismo islamista, sarebbe accaduto il finimondo con richieste di espulsioni e di arresto immediato, ma evidentemente solo i fanatismi ed i terrorismi «esotici» suscitano lo sdegno dei bravi cittadini «impegnati nel sociale».
A Pavia, dove il PD è il partito di maggioranza relativa, ad aprile il consiglio comunale ha modificato due regolamenti, quello di polizia urbana e quello concernente l’occupazione di spazi pubblici, con lo scopo dichiarato di limitare le iniziative neofasciste in territorio cittadino. Le nuove norme, seppure con una formulazione un po’ involuta, prevedono che i promotori di qualunque manifestazione (per intendersi, dall’installazione di un gazebo all’organizzazione di un presidio o di un corteo) debbano sottoscrivere una dichiarazione d’impegno a non esibire simbologia fascista e a non tenere comportamenti omofobi, misogini o altrimenti lesivi del principio di eguaglianza. L’aspetto più avanzato e per certi versi coraggioso di questo provvedimento è che non si tratta solo di un atto d’indirizzo politico, ma di vere e proprie norme giuridicamente vincolanti: per chi trasgredisce, non presentando la dichiarazione o direttamente tenendo i comportamenti vietati, è prevista una sanzione pecuniaria fino a € 300.
L’approvazione di queste disposizioni è stata il frutto di una mobilitazione durata tre anni, che ha visto protagoniste l’ANPI e la Rete Antifascista di Pavia, fatta di manifestazioni e assemblee pubbliche, riunioni con la giunta e i funzionari del comune, elaborazione di bozze e proposte di emendamenti alle disposizioni da approvare, interventi in consiglio comunale. Non da ultimo, ci è voluta una parata di trecento fascisti lo scorso 5 novembre, con gli antifascisti in presidio caricati e manganellati (e poi immancabilmente denunciati), in una serata di pericolosissima e irrazionale gestione dell’ordine pubblico che forse non è restata priva di conseguenze, visto il recente avvicendamento ai vertici della prefettura di Pavia. Questa mobilitazione ha determinato, sia in consiglio comunale, sia soprattutto nell’opinione pubblica cittadina, i rapporti di forza che hanno portato all’approvazione delle nuove norme. Attorno al “regolamento antifascista” s’è aperta, evidentissima, una contraddizione in seno al PD locale, con una parte dei suoi dirigenti (numericamente minoritaria, ma molto influente negli equilibri interni) che ha osteggiato il provvedimento, mettendo in campo tutto l’arsenale degli argomenti benaltristi consueti: “la contrapposizione fascismo antifascismo appartiene al passato”, “mentre noi discutiamo di queste cose, l’economia non riparte” (argomenti questi, si capisce, volentieri sostenuti anche dalla destra), “continuando ad occuparci dei fascisti diamo loro visibilità” e via di questo passo.
Sebbene le norme siano state approvate, gli scossoni interni al partito non sono rimasti senza conseguenze. Quella più evidente è che, a quattro mesi dall’entrata in vigore delle nuove norme, il comune non ha ancora emanato la modulistica di attuazione: manca quindi il testo della dichiarazione d’impegno da far sottoscrivere ai promotori delle manifestazioni pubbliche. Il risultato ovviamente è che ad oggi il regolamento è inapplicato, e i diversi gruppetti neofascisti e neonazisti della provincia hanno più volte fatto iniziative (più che altro banchetti) in città, contro il Gay Pride, per il fantomatico “reddito di maternità” etc. La predisposizione della modulistica richiederà a dir tanto un giorno di lavoro: per dimostrarlo, ANPI e Rete Antifascista hanno pubblicato un facsimile di dichiarazione, redatto in poche ore dai giuristi dei due gruppi. Volendo, gli uffici comunali avrebbero potuto copiancollare e protocollare quel modello, e il gioco era fatto: invece si attende ancora che i conflitti interni si risolvano. Alle molte richieste di spiegazioni è stato risposto che non si riuscirebbe a individuare l’ufficio competente a provvedere…
Significativamente, oltre alle divisioni nel PD, a determinare lo stallo vanno segnalate anche queste “resistenza burocratiche” dentro il conservatore apparato comunale. I meccanismi farraginosi e antidemocratici che rendono provvedimenti simili complicatissimi per i rari amministratori controcorrente sono davvero inquietanti, anche perché sembra, al contrario, facilissimo emanare ordinanze autoritarie sul decoro; eppure sono interventi che avvengono esattamente sugli stessi regolamenti.
Nicoletta Bourbaki [chi è?] – dalla loro pagina di Facebook
PS. Proprio mentre chiudiamo questo articolo, da Prato, ci arriva la notizia di un’iniziativa del comune, che, modificando il regolamento sulla concessione del suolo pubblico, ha vietato a chi fa propaganda fascista e razzista, la possibilità di poter ottenere spazi pubblici.