Terroristi che sterminano innocenti, fazioni politiche e religiose che si massacrano nel nome di ideologie e di Dei di cui nulla sanno, criminali che violentano e torturano prima di sopprimere vite, delinquenti senza più codici d’onore, ma anche ex amanti che deturpano con acidi i visi baciati fino a pochi giorni prima, inabili maltrattati e vecchiette scippate di una miserabile pensione, e perfino madri che gettano nell’immondizia i loro nati e figli che uccidono padri per due soldi per la droga. Eppoi, ovunque disonestà grandi e piccole di commercianti, banche, assicurazioni, politici e amministratori. E’ solo follia del mondo moderno? Ma prima dell’ISIS non c’erano i folli della ex Jugoslavia? e prima ancora Pol Pot, gli Utu e Tutsi, i dittatori del sud America e Hitler e via via indietro fino alla notte dei tempi? Sarebbe questo l’esercizio del libero arbitrio di cui gli dei avrebbero fatto dono agli umani dotati di raziocinio? Così fragile è la nostra moralità da frantumarsi d’innanzi al tornaconto personale, alle nostre pulsioni, ai nostri credi? E perché definire “follia” comportamenti che nessun trattato di psichiatria annovera nei suoi capitoli? I terroristi non si considerano folli, migliaia di fanatici non sono folli. Gli ottimisti ci ricordano che nel mondo si compiono anche molte azioni di generosità e altruismo, che le reti di solidarietà sono ramificate nelle nostre società e che le religioni promuovono anche compassione e misericordia. Non lo nego, ma le efferatezze compiute dagli umani nella loro storia sono innumerevoli e, talora, basta poco per disgregare qualsiasi principio etico di civile convivenza. Forse è il caso di ricordarci ogni tanto di che pasta siamo fatti, nel bene e nel male, e di mantenere alta l’attenzione sulle questioni morali, delle istituzioni certo, ma anche di noi persone comuni. Il contributo che offrirò nell’ambito del prossimo Evolution day concerne le principali acquisizioni neuroscientifiche in tema di libero arbitrio e moralità umana, e giacché in una oretta scarsa non potrei affrontare, neanche in sintesi, un argomento di così vasta e complessa portata, anticipo in questo articolo una nota introduttiva e fornisco un piccolo glossario di sicura utilità per il neofita.
Se oggidì, si associa il comportamento al cervello, per molti secoli non è stato così. A causa della loro ignoranza scientifica e predisposizione alle credenze magiche e trascendenti, gli antichi hanno attribuito il pensiero razionale e morale a cause sovrannaturali, come il mondo ideale di Platone, lo Spirito Santo o le energie celesti del Tao. Nella nostra cultura, i greci indicavano con Psiché la mente, laddove psiche rimanda al respiro, alito, fiato e a spirito, così come anima rimanda ad animato, animarsi, cioè al movimento che distingueva gli oggetti viventi (in-animato= non vivente). In altre culture si ritrovano gli stessi concetti: Prana e Atman in sanscrito, Nephesh in ebraico, Uawa in indonesiano, Julio in azteco. Insomma, l’essenza dell’attività psichica e di quanto era creduto di etereo e divino in noi è stata pressoché ovunque, paradossalmente, associata alla esperienza somatica del respirare e del muoversi. In occidente bisogna attendere gli studi anatomici umanistici-rinascimentali per vedere al cervello attribuito il suo ruolo di organo del pensiero e del sentimento, ed è Cartesio (XVII sec.) che elaborò tra i primi una teoria meccanicista e dualista sul cervello, considerandolo sede d’incontro tra realtà materiale (res estensa) e psichica (res cogitans). Sebbene ancora oggi in alcuni scienziati e negli spiritualisti permanga la convinzione dualista, le crescenti conoscenze dell’encefalo spingono ad abbandonarla, a favore di una monista nella quale la mente è considerata una funzione emergente del cervello. Tuttavia, per decenni, le neuroscienze hanno privilegiato lo studio della componente cognitiva del cervello-mente (intelligenza, abilità matematiche e linguistiche, ecc.) relegando gli aspetti emozionali e affettivi in secondo piano, per l’antico retaggio di stimare il pensiero astratto e la morale come prodotti della ragione, mentre i sentimenti e le emozioni erano frutto degli istinti animaleschi. Invece, oggi stiamo capendo che le attività cognitive risentono anche degli stati emotivi, degli ormoni, della condizione fisica di tutto l’organismo, perfino dell’alimentazione, e che il cervello è strutturato socialmente, e non perchè ci piace cenare con gli amici e giocare a carte al bar ma perché per milioni di anni si è plasmato ed è evoluto in gruppi più o meno allargati (il numero di Dunbar è pari a 30-40 fino a un massimo di 150 individui che costituivano i gruppi di Australopiteci e umanoidi e che oggi fanno parte della cerchia di conoscenti di cui ricordiamo nome e volto). In altre parole, noi pensiamo e agiamo in termini sociali, perché senza gli altri, noi fragili esseri, saremmo stati persi, come un animale singolo nella savana. D’altronde, possediamo ricchissima mimica, posture, prossemica (come ci posizioniamo nello spazio sociale), prosodica (intonazioni della voce), oltre al linguaggio verbale, finalizzati alla comunicazione con gli altri (e con gli animali). E perché arrossiamo, proviamo vergogna e difendiamo dignità e onore se vivessimo solo per noi stessi? Noi non siamo robot che computano in assenza di sentimenti, affetti, passioni. Vero è che per capire a fondo il cervello oggi utilizziamo dei modelli cibernetici, le reti neurali, e ci ispiriamo alla scienza dei Sistemi Complessi e alla dinamica non-lineare, alla Teoria del Caos ed altro ancora, ma le nostre sinapsi neuronali si scambiano anche serotonina, noradrenalina e altri neuromodulatori delle emozioni. Pertanto è errato separare il cervello razionale da quello emotivo, ovvero separare le idee di qualcuno dalle sue esperienze affettive, i suoi pensieri dalle influenze emotive, i suoi giudizi dai condizionamenti educativi e dai suoi imprinting infantili, le sue azioni dai suoi desideri, gelosie, ambizioni. Anche nelle riflessioni e decisioni in apparenza più logiche e ragionate vi è sempre un pizzico di irrazionalismo emotivo (ricordo che emozione proviene da ex-movere, ossia muovere verso qualcosa, che indica bene il ruolo motivazionale delle emozioni). Sembra banale dire queste cose oggi, ma riflettiamo su noi stessi la prossima volta che ci osserviamo difendere o offendere una opinione, una fede religiosa o politica, verificando quanto di razionale e quanto di passionale vi sia nelle nostre parole, e chissà che non ci si renda conto che certe insofferenze verso gli interlocutori siano più emotive che logiche, come diremo a proposito dei “neuroni specchio”. Avvicinandoci a temi più specifici, come libero arbitrio e morale, si inizia a comprendere allora come tali concetti risultino incongrui per le neuro-psico-scienze se intesi tradizionalmente, non perchè l’uomo non sia responsabile delle proprie azioni ma lo sia in maniera assai complessa, integrando ragione e sentimento, conoscenza e affetti, motivazioni personali e sociali, credenze e costumi.
Ritengo utile introdurre qui un piccolo glossario tecnico, che aiuti a capire i principali orientamenti teorici delle neuroscienze moderne, sebbene non vi sia unanimità epistemologica su tutto:
–monismo; la mente è proprietà emergente del cervello vivente e non una entità immateriale metafisica; nella prospettiva pragmatista si va oltre il semplice materialismo, poiché le popolazioni neuronali (moduli) e il loro funzionamento macroscopico sono descritte da teorie come quella della Complessità e del Caos, con particolare rilevanza delle dinamiche non-lineari e del ruolo degli Attrattori (si pensi a un grande mercato in cui le dinamiche economiche sono ben più che la somma semplice delle singole transazioni e vi siano modelli e schemi che “attraggono” le dinamiche stesse, così come una pallina sul bordo di un imbuto è attratta sul fondo ruotando)
–evoluzionismo; il cervello-mente umano è in continuità evolutiva con quello degli ominidi, dei pre-ominidi e mammiferi e perfino rettili, sebbene la regressione di certe strutture (archipallio e paleopallio, cioè cervello olfattivo e emozionale) e incremento di altre (neopallio o corteccia) abbia portato a differenze qualitative, oltre che quantitative, per es. linguaggio verbale e pensiero logico
–modularismo; le unità funzionali del cervello-mente sono specializzate e localizzate, i moduli, coordinati da meccanismi che si sviluppano dalla loro interazione e integrazione; si immagini una città composta da tanti palazzi e grattacieli, ciascuno con sviluppo specifico di mansioni e compiti: il palazzo dove si sa scrivere, quello dove si conoscono i nomi delle cose, quello dove si fanno calcoli, un altro dove si riconoscono i volti, e così via. I palazzi lavorano in autonomia, pur collaborando; si comprendono così le nostre contraddizioni (moduli contrastanti) e perché a lesioni cerebrali focali corrispondano deficit talora assai selettivi, come l’anomia (il paziente è normale ma non sa più dire i nomi delle cose, sebbene ne sappia descrivere l’uso) o la prosopoagnosia (persone care o note non si riconoscono più dal viso ma solo al tatto e dalla voce). Quando taluni specifici moduli operano integrandosi agli altri, compaiono funzioni e stati particolari, come la coscienza e l’autoconsapevolezza, che non hanno sede localizzata ma emergono dall’integrazione di più unità. Ne diremo di più all’incontro di Terni a febbraio.
Maurizio Magnani
-Michael Gazzaniga “Chi comanda?” Codice ed 2013; -M.D. Hauser “Menti morali; le origini naturali del bene e del male” Saggiatore 2007; – Oliver Sachs “L’uomo che scambiò sua moglie per un cappello” Adelphi 1996; -Antony Damasio “L’errore di Cartesio” Adelphi 1998