Non ancora morti

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La generazione di chi attualmente ha fra i trenta e i quarant’anni è stata definita in molti modi nel corso degli anni. Generalmente si fa riferimento come “la generazione perduta” stritolata dai sessantenni che non vogliono lasciare i posti di potere e le nuove generazioni che saranno spietate nel tagliarla fuori.

A noi ci piace pensarla come la generazione “non ancora morta” che tra l’inettitudine della politica italiana e i tagli dei tecnici sta comunque affrontando la sua vita al meglio delle sue possibilità.

Come capirla questa generazione? Ci proviamo raccontando qualche loro storia, senza la pretesa di far sociologia ne’, tanto meno, un’indagine statistica ma solo con la volontà di far conoscere le testimonianze delle persone che abbiamo incontrato.

Si potrebbero esaminare, e qualcuno in realtà dovrebbe farlo, tanti dati per dare un senso a queste storie: la disoccupazione giovanile al 35%, il reddito medio di un operaio italiano confrontato a quello del resto d’Europa, il nostro sistema del welfare e quant’altro. In realtà speriamo che qualcuno lo faccia e ci dia una risposta sul perché nel nostro paese (a differenza degli altri) una generazione è stata evidentemente dimenticata.

Dato che il settore della ricerca è quello che nei paesi civilizzati rappresenta il motore della nazione, cominciamo con la storia di Roberto, classe ’77, laureato in biologia con il massimo dei voti. Dicono che un ricercatore italiano non prende molto di meno dei suoi colleghi europei, dipende dai punti di vista! Di certo i 1700-1800 euro che prende un ricercatore del CNR appena entrato non sarebbero pochi anche se vanno comunque confrontati con i 3000€ che danno nei paesi scandinavi o nel Regno Unito. Ma quanti sono i ricercatori che “entrano” con il posto fisso al CNR? Più o meno la metà del totale a quanto ci risulta, gli altri sono dottorandi, borsisti e assegnisti di ricerca. Le tre fasi del purgatorio. Roberto, dopo la tanta agognata laurea (vecchio ordinamento quando ancora la farsa del 3+2 non era legge) arrivata con quasi tre anni di tesi di ricerca, per i quali ovviamente non ha preso un euro, ha avuto il posto per il dottorato, due anni di contratti con più o meno 1050 € al mese. E poi? E poi arrivederci e grazie visto che di concorsi per entrare neanche a parlarne. Allora per non perdere il contatto con l’ambiente scende di livello e fa una domanda per una borsa di studio da 990€ al mese per semplici laureati, sperando che nel frattempo esca qualche bando per un assegno di ricerca leggermente più cospicuo. E intanto gli anni passano, qualcuno vuole chiedergli perché ancora non si è sposato?

Della trafila per diventare ricercatore ne sa qualcosa Paolo classe ’72, laurea in Chimica farmaceutica con 110/110; una di quelle lauree che erano ritenute come un assegno circolare. A lui piace la carriera accademica e ci prova, due anni di borsa di studio, quattro di dottorato e poi di nuovo due con un’altra borsa di studio. Ma i posti fissi sono per pochi eletti, e allora prende l’aereo e va nel Regno Unito. Dopo solo tre anni di posto da scientific investigator gli viene offerto il posto in “permanent position” oltre duemila sterline al mese, forse potrebbe anche tornare in Italia con qualche posto atipico, ma perché dovrebbe fare lo stesso lavoro per prendere la metà? Sulla Treccani alla voce “fuga dei cervelli” dovrebbe esserci messa la sua foto.

Lorella, classe ’76, è laureata in Scienze Politiche con il massimo dei voti. Una specializzazione in Cooperazione internazionale e poi la svolta della vita, un’esperienza di vita e di lavoro nel Darfur a collaborare con le ambasciate. Quattro anni lunghi e intensi poi la scelta di tornare a casa, perché anche se è un brutto periodo per l’Italia possibile che non si trovi nulla per chi ha tanti titoli alle spalle? Possibile. Infatti oltre un anno passa senza trovare niente, poi alla fine si accetta anche un contratto a partita iva con la Regione a fare tutt’altro… e bisogna anche dirsi fortunati, o no? “I miei colleghi quando sono tornati a casa sono stati accolti a braccia aperte dalle amministrazioni e dai governi, non solo in Francia e Germania ma anche in Spagna che in teoria dovrebbe stare peggio di noi. Qui nessuno mi ha preso in considerazione”

 

Cosa dire di Katiuscia? Classe ’72, una laurea in lettere in una prestigiosa università italiana, peccato che per accontentare il professore e migliorare la sua tesi perda per pochi mesi l’ultimo concorso per entrare in ruolo come insegnante. Era il 1999 (quello successivo sta creando molte polemiche 14 anni dopo), e come se una beffa non bastasse proprio in quegli anni cambiarono le normative per insegnare alle elementari. La laurea in lettere non era più sufficiente, ci voleva “Scienze dell’educazione primaria” in compenso però potevano insegnare i diplomati alle magistrali! Misteri d’Italia!!!
Per Katiuscia dopo anni di cooperative a gestire musei di provincia il lieto fine si è materializzato in un concorso pubblico al Comune, proprio pochi mesi prima di prendere la seconda laurea per l’insegnamento… a volte il destino è beffardo.

C’è chi il lieto fine lo sta aspettando da un po’… è per esempio il caso di Valentina, classe ’77, una vita di lavori temporanei dopo il diploma di ragioniera appeso al muro: operaia tessile, operaia casearia, segretaria e chi più ne’ ha più ne’ metta. Poi l’agenzia interinale presso la quale è iscritta decide di darle la grande possibilità, impiegata classe C in un ente pubblico; colpo grosso perché come le dicono all’agenzia “chi entra lì non ne esce più”. Difatti c’è gente che con i contratti atipici sono dieci anni che non esce dai palazzi. Ma non potrebbero rinnovare il contratto massimo tre volte? Così dicono ma… “who watch the watchmen?” C’è da cambiare città, è un prezzo che si può pagare. Però alla fine qualcuno si accorge che gli interinali costano più degli impiegati assunti regolarmente (ma vah!?!) e da quel momento in poi nella Pubblica Amministrazione, dicono, si entra solo per concorso. Ma la crisi nel 2010 è già esplosa e ai concorsi pubblici partecipano anche i laureati in ingegneria aerospaziale che puntualmente passano avanti a molti ex precari. E così si ricomincia da zero, con la differenza che adesso “c’è la crisi”, che hai diversi anni in più, e che magari la tua vita la pensavi diversa dopo quindici anni che hai iniziato a lavorare e invece ti tocca correre ancora dietro le ordinazioni al ristorante.

C’è invece chi il lieto fine prova invece a costruirselo, dopo dieci anni di lavoro come operaio specializzato in una multinazionale del polipropilene. E’ il caso di Matteo, classe ’72. La direzione decide di chiudere lo stabilimento non perché è in perdita (l’annata precedente aveva realizzato un utile di oltre cento milioni di euro) ma perché ormai le multinazionali non rispondono neanche alla logica capitalistica ma solo a quella della speculazione. Il prezzo del polipropilene deve salire, ergo la produzione deve scendere, ergo lo stabilimento nel centro Italia va chiuso. Matteo e altri centonovanta come lui fanno le barricate, scrivono al sindaco, al vescovo, al Presidente della Repubblica, ma non si smuove una paglia. Lo stabilimento chiude. Cassa integrazione, solite trafile di disoccupazione ma alla fine c’è l’idea. Con le competenza acquisite nelle materie plastiche apre un azienda di riciclo. Raccoglie il Pet e lo rivende a chi lo riutilizza. Se prima lavorava otto ore con i turni adesso ne lavora dodici al giorno senza conoscere pause, però si sbarca il lunario, è già qualcosa.

A questa generazione è stato detto “studiate, che poi trovate lavoro” ha studiato e si è sentita dire “Però era meglio se imparavate un mestiere”, il mestiere l’ha imparato e gli hanno detto “ Però ora c’è la crisi, se vuoi lavorare non avrai diritti ne pensione”. E questa generazione ha cercato di lavorare, spesso senza diritti e senza neanche l’idea di una possibile pensione; poi ha visto che all’estero ci trattano meglio e qualcuno ha cominciato ad espatriare. “Ma no restate qua” hanno gridato gli alti papaveri delle istituzioni. Ma chi resta continua sempre a chiedersi chi glie lo fa fare.

Alessandro Chiometti

10 Settembre 2012   |   articoli, riflessioni   |   Tags: , ,