Alla vigilia del voto di fiducia di Camera e Senato, Berlusconi attinge ai fondi statali dell’otto per mille per un regalino prenatalizio (e pre-elettorale) alla Chiesa cattolica. Il quotidiano Libero del 10 dicembre ci informa che il premier «ha aperto proprio in questi giorni il salvadanaio di palazzo Chigi. Così con una generosità che non ha grandi precedenti, buona parte dei 144 milioni di euro che aveva a disposizione dell’8 per mille a gestione statale saranno impiegati in lavori di abbellimento e restauro di chiese, conventi, sedi arcivescovili, monasteri, confraternite, basiliche della Conferenza episcopale italiana. In tutto una sessantina di milioni. Dei 262 interventi previsti nel decreto di ripartizione dell’8 per mille statale firmato da palazzo Chigi più della metà sono destinati a questo fine a istituzioni religiose».
La mossa non è nuova, forse Libero ha la memoria corta. Lo scorso anno venne devoluta al restauro di immobili ecclesiastici l’intera cifra (10 milioni di euro) destinata ai Beni culturali e gran parte di quella (14 milioni di euro) destinata agli “interventi per il sisma in Abruzzo”. Il tutto fu deciso i primi di settembre, qualche giorno dopo il mancato incontro tra Governo e Chiesa in occasione della festa della Perdonanza. Il consesso, saltato all’improvviso a causa dell’attacco del Giornale, l’organo di stampa della famiglia Berlusconi, al direttore di Avvenire Dino Boffo, doveva sancire l’ufficiale ‘perdonanza’ del premier per le sue vicende di letto. Devolvendo alla Chiesa parte del gettito dell’otto per mille statale il nostro eroe comprava ciò che un incauto linciaggio giornalistico aveva annullato.
Oggi i motivi di tanta «generosità», come la definisce Libero, sono palesi e vanno a ingrossare il paniere dei sospetti sulla compravendita di voti; quelli dei parlamentari per il voto di fiducia del 14 dicembre, quelli dei cattolici per le prossime – e probabilmente vicine – elezioni politiche. Nulla di nuovo per quanto riguarda la mercificazione della cosa pubblica da parte di Berlusconi, dunque.
I governi passano e Berlusconi, qualsiasi cosa sancisca il Parlamento, è un uomo politicamente finito, sperando che una sua eventuale uscita di scena segni anche la fine di un’epoca in cui gli assetti di governo si definiscono a pranzo con i cardinali. L’inadeguato meccanismo di ripartizione dell’otto per mille, invece, rimane. E merita attenzione e la più ampia diffusione tra i cittadini, che dovrebbero spingere con ogni mezzo per la sua modifica.
In primo luogo per la lista dei destinatari: sei confessioni religiose (ma dal prossimo anno dovrebbero entrare in vigore le nuove intese stipulate con altre confessioni) più lo Stato italiano che però non garantisce le scelte dei contribuenti, visto che attinge ai fondi del gettito a lui destinato per voci ordinarie di bilancio o addirittura, come negli ultimi anni, per sostenere le spese ecclesiastiche di ristrutturazione già comprese nel fondo “edilizia di culto” della quota di otto per mille destinata alla Chiesa.
In secondo luogo, i contribuenti non scelgono di destinare l’otto per mille dell’Irpef del loro reddito, ma votano per la ripartizione del gettito derivante dai redditi di tutti i contribuenti. Succede così che la scelta di un cittadino che guadagna 20mila euro l’anno valga come quella di chi ne guadagna 200 mila. Ossia contano le persone e non i redditi.
In terzo luogo, le scelte non espresse vengono ripartite in modo proporzionale e la maggior parte dei cittadini ancora ignora che non firmando l’apposito modulo della dichiarazione dei redditi si affida alla scelta della maggioranza. Ecco perché la Chiesa cattolica, indicata da circa il 35% dei contribuenti, riceve più dell’80% dell’intera cifra, ossia circa un miliardo di euro l’anno.
In sintesi, chi non effettua una scelta perché non si riconosce in alcuno dei destinatari designati sceglie comunque e nel modo peggiore, ossia per suddivisione proporzionale; chi sceglie lo Stato nella speranza che dedichi i fondi alla fame nel mondo, alle calamità naturali, all’assistenza ai rifugiati o alla conservazione dei beni culturali, come da dichiarazione di intenti, finisce suo malgrado per finanziare parrocchie e conventi ad esclusivo appannaggio del consenso politico del premier di turno; chi, infine, sceglie la Chiesa cattolica certo che devolva il gettito a opere di carità non sa – e le martellanti pubblicità della Cei di certo non lo informano – che solo il 20% dell’introito viene destinato in beneficienza, mentre l’80% è suddiviso tra gli stipendi del clero e non meglio identificate “esigenze di culto”. Non è ora di dire basta?