* Corrado Augias
Intervista di Sandra Petrignani da Panorama n. 11 del 16 marzo 2006
Ne ha parlato nella sua trasmissione, Le storie (in onda dal lunedì al venerdì su Raitre alle 12.45): Corrado Augias è pronto a farsi comprare il kit della «buona morte» che nelle farmacie dei Paesi Bassi può essere acquistato liberamente, anche se «soltanto da medici che si impegnino a fame un uso proprio». Detto, fatto. L'acquisto, che a molti fa drizzare i capelli in testa, mette in gioco problemi di coscienza di enorme portata. Appare come una riabilitazione dei suicidi, fa tremare chi gli vuole bene.
Perché, Augias, una decisione così radicale alla sua età? Settant'anni oggi non pesano poi tanto a chi, come lei, li porta bene ed è in buona salute.
L'idea di essere privato della libertà di morire è più forte di altre considerazioni. Credo sia giusto che ognuno decida da sé su come morire. È un argomento molto delicato. È la decisione più grave che un uomo possa prendere.
Cosa c'è dentro il kit?
Liquidi diversi che combinati formano la dose per un'iniezione letale. Ma prima ci si inietta una specie di anestesia, così il trapasso avviene dolcemente.
Bisogna essere in grado di farsela da soli per non coinvolgere altre persone.
O trovare una persona di grandissima generosità, un buon samaritano.
Persone che rischiano di essere giudicate assassine.
La legislazione va avanti. In Belgio e nei Paesi Bassi non si viene perseguiti per una cosa del genere e in Francia c'è già stata una sentenza favorevole.
In Italia esiste un'associazione per la depenalizzazione dell'eutanasia, si chiama Libera uscita. Lei è iscritto?
No. Voglio fare da me. Ma la trovo meritevole. Ho amici che ci si sono iscritti.
Perché non le basta firmare un testamento biologico?
Non è la morte che si teme, è il passaggio. Si tramanda che Giulio Cesare abbia detto la sera prima di essere assassinato: «La morte migliore è quella improvvisa». Ma chi ci garantisce che l'avremo? Gli scenari che oggi ci si prospettano sono francamente ripugnanti, anche senza pensare all'accanimento terapeutico. Una massa di vecchi ormai incapaci di intendere e di volere, che sbavano, se la fanno addosso, pesano su figli e nipoti in modo insostenibile. Cosa resta di umano in questo? Ma per carità!
Questo kit contiene medicinali, è soggetto a scadenza?(il kit contiene una siringa, anestetico e farmaci che, combinati, risultano letali. Nota dell'articolista).
Sì, e in un certo senso è un'arma impropria, bisogna fare attenzione che non cada in mani sbagliate, tenerlo fuori dalla portata dei bambini. È ovvio. Ma ha un valore anche simbolico, oltre che pratico. È la versione moderna dell'antica «virtù romana», quel gettarsi sulla propria spada quando si sentiva arrivare la fine. Un atteggiamento professionale, se vogliamo. Naturalmente mi auguro di ricomprarlo molte volte il mio kit.
Un'ultima domanda: è caro?
Un'ottantina di euro.
HO PRESO IL KIT DELL'EUTANASIA – DI CORRADO AUGIAS
Il giornalista racconta perché sceglie "la buona morte": voglio restare padrone di me
da: la Repubblica (prima pagina) di venerdì 10 marzo 2006
Caro direttore, qualche giorno fa nel mio programma Le Storie su Raitre ho dato la notizia che sto per acquistare il kit della "buona morte" in vendita a Bruxelles e credo anche in Olanda. Il prezzo è contenuto, meno di cento euro, possono comprarlo i medici sotto la loro responsabilità per un uso professionale deontologicamente appropriato. Come sai, sono stato a Bruxelles cinque anni e conservo parecchie conoscenze. Vedo ora che la notizia ha avuto qualche eco e credo di dover spiegare meglio che cosa intendessi e le ragioni di questa scelta indubbiamente grave.
Prima però di scrivere devo fare una doppia premessa.
So bene che l'eutanasia, comunque motivata, è nel nostro paese un reato. Sono anche consapevole che non solo nel paese ma nella stessa comunità di Repubblica coesistono sull'argomento sensibilità diverse. D'altronde si tratta della decisione più grave che un essere umano possa essere chiamato a prendere e dunque dubbi personali, conflitti di tipo religioso, tentazioni di opposta natura, sono giustificati e più che comprensibili.
Perché, dunque? Recenti esperienze che non esito a definire tragiche di persone a me vicine mi hanno messo a contatto diretto con l'infamia di una morte troppo a lungo rimandata. In quel povero corpo straziato nulla era più rimasto di umano, se per umanità intendiamo il controllo di sé, la consapevolezza del proprio essere, la possibilità di comunicare con i nostri simili, quell'attività cerebrale, anche minima, che sola ci distingue dagli altri esseri viventi. La povera creatura aveva di tanto in tanto intermittenti pause di lucidità durante le quali capiva il baratro nel quale era precipitata e piangeva dirottamente, in silenzio, senza singhiozzi. Ho immaginato che potendo ci avrebbe chiesto perché non interrompevamo il suo strazio, quale ferocia, quale viltà ci impedisse di farlo.
Aveva ragione Epicuro quando esortava a non temere la morte perché, scriveva: «Quando c'è lei non ci sei tu, quando ci sei tu non c'è lei». Infatti non è della morte che dobbiamo preoccuparci, una condizione inevitabile la sola certezza che abbiamo; l'abbandono della vita, lì s'annida il problema. Non inquieta l'oltretomba, l'Ade, il Purgatorio o comunque si voglia immaginare (sperare) un'esistenza oltre la morte, la questione è la soglia, la linea di confine che separa questo da quello e che può diventare intollerabile e spaventosa.
Caro direttore, per farla breve, vorrei essere sicuro di poter morire con dignità. Si racconta che la sera prima delle fatali idi di marzo, Cesare fosse andato a cena da Decimo Albino. A un certo punto il padrone di casa gli chiese con aria di sfida: «Qual è per te la morte migliore, Cesare?». Nel gelo improvviso della sala si udì la voce di Cesare, ferma, pacata, già lontana: «Non vorrei una morte lenta. La morte migliore è la meno attesa».
C'è nel suicidio consapevole responsabilmente esercitato (perché anche il suicidio può diventare una futilità) una traccia della virtù romana antica. Il desiderio di restare padroni di sé, di congedarsi dalla vita senza doversi vergognare