Non credo che un partito debba porsi il problema di come arginare individui che intendono farne parte solo per danneggiarlo Non un partito aperto, perlomeno.
Per farlo, infatti, dovrebbe gioco forza porre dei vincoli ideologici quali criteri selettivi all’accesso, stabilire una sorta di catechismo cui tutti i membri dovrebbero professare fedeltà.
Che é quello che ha fatto il PD, mi pare e che già in passato avevano fatto il PCI o la DC, anche se quest’ultima con formulazione più generica.
La mia non è solo una posizione di principio, ma fondata sulla mia esperienza di quale sia la forma partito più valida per costruire una società aperta e laica.
Mi spiego.
Se si struttura un partito sull’idea che c’é un limite alle posizioni accettabili all’interno, per forza di cose la discussione interna tenderà a trasformarsi in ideologica da politica che dovrebbe essere. Lo scontro tra le varie fazioni tenderà inevitabilmente a usare quale argomento la maggiore o minore fedeltà ai "valori fondanti". Sicché le regole, da muro del nostro agire, confine che consente l’azione e il conflitto, divengono oggetto del conflitto.
L’avversario di partito viene combattuto, allora, non con argomenti politici, ma accusandolo di non essere fedele all’identità del partito …
In tal modo si trasforma la politica, da terreno dell’azione collettiva di uomini liberi, nel luogo delle discussioni teoriche degli ideologi. Perché qualunque azione, proposta, iniziativa non può più limitarsi ad essere condivisa dalla maggioranza, il consenso dei più non le è più sufficiente, ma le serve la conformità all’essenza, all’identità predefinita. E chi stabilisce cosa è conforme a questa identità? Un collegio di probi viri?
Le organizzazioni a base ideologica hanno sempre, prima o poi, portato a forme di epurazione ideologica, assolutamente impolitiche, perché preliminari all’azione ed al dibattito, condizioni di ammissione, per così dire, all’agone.
Ed hanno condotto alla formazione di una casta di “probi viri”, censori chiamati a tutelare la purezza ideologica: è la costruzione di un’organizzazione su basi ideologiche, che, in sé, innesca la dinamica che porta all’esistenza di un clero, all’Inquisizione, ai partiti totalitari.
Ovunque l’essenza sia reputata precedere l’esistenza, qualcuno userà la prima per controllare la seconda.
I “signori” del catechismo, diverranno i padroni dell’organizzazione. Quel che la condanna dell’eresia è nella Chiesa, è l’espulsione nei partiti moderni.
E come ritengo che l’eresia sia la voce più viva delle religioni, così penso che il dissenso sia l’anima della politica.
Il problema del troll si pone in organizzazioni ideologiche, non in organizzazioni politiche.
La politica si alimenta dell’azione collettiva di uomini che condividono gli stessi principi di azione?
E allora, se un individuo riesce ad assumere il controllo di un’organizzazione democratica, vuol dire che la maggior parte dei suoi membri sono con lui, che quella è, nelle condizioni storicamente date, l’ESISTENZA che quell’organizzazione deve avere perché vuole averla.
Il che ha precise implicazioni anche sul modo di concepire un’organizzazione laica.
Che cosa è la laicità?
Secondo me, il principio di laicità si alimenta della convinzione che non ci sia un’ESSENZA vera e giusta che preesista alla via che si segue per accertarla.
Da tale principio deriva, quindi, una determinata forma dell’azione, sia individuale che collettiva.
L’azione collettiva laica si nutre di sé stessa, non potendo dare nulla di scontato a monte di sé: verità, capi, autorità che non sorgano dall’azione collettiva, dal dialogo fra gli uomini che compiono quell’azione.
E se un’organizzazione non è che la forma che assume un’azione collettiva per disciplinarsi, allora essa non potrà essere davvero laica se a proprio fondamento pone altro che non sia il dialogo.
Quel che conta non può essere un’ESSENZA che si dia come preesistente al dialogo fra i suoi membri, ma solo l’ESISTENZA che da tale dialogo si alimenta e deriva.
Il cemento in un’organizzazione laica (non mi riferisco alle associazioni mono-proposito in cui i membri sono uniti dall’obiettivo specifico) non può essere un decalogo di valori, ma il modo in cui si affrontano e risolvono i conflitti che si aprono per stabilire le linee d’azione comune.
Ed allora é per questo, e non per la presenza della Binetti, che il PD non mi pare un partito laico.
Non perché la Binetti dica quel che dice, ma perché non c’è un metodo democratico che consenta davvero di selezionare l’azione in base al consenso liberamente formato degli iscritti.
Il test di laicità al PD non va fatto chiedendogli: perché avete “espresso” la Binetti, ma quali procedure avete usato per sceglierla.
E la drammatica risposta è che la Binetti è stata cooptata in Parlamento dal segretario, senza dialogo interno, senza voto di iscritti, senza voto di elettori. Questo è davvero poco laico.
Massimiliano Bardani