Dopo una battaglia tutta politica e poco scientifica da parte dei fedelissimi del verbo divino, è arrivato il parere del Consiglio Superiore di Sanità sulla somministrazione della pillola abortiva Ru486. Nonostante il via libera dato negli scorsi mesi dall’Aifa, l’Agenzia italiana per il farmaco, la pillola dovrà essere utilizzata solo in regime di ricovero ospedaliero. Le Regioni che ne avevano autonomamente prevista la somministrazione in day hospital – come avviene in tutti i Paesi europei (in Francia da venti anni!) ad eccezione di Irlanda e Portogallo – devono tornare sui loro passi.
Eppure, la pillola abortiva poteva costituire una vera svolta per il sistema sanitario nazionale, comportando un risparmio economico e di posti letto non indifferente. Dall’altra parte, il suo utilizzo può alleviare il dolore fisico delle donne e liberarle dall’incubo di gestire in ospedale, piuttosto che in casa, la loro tragedia personale. In poche parole, soffrire di meno.
Che la donna possa abortire con meno sofferenza (fisica) è qualcosa che non piace a molti; quei molti che scambiano sovente il peccato per reato e che sono intrisi dalla mentalità bigotta, tutta italiana e nella fattispecie cattolica, dell’espiazione della colpa. Abortire è, dunque, una colpa. Perché dovrebbe bastare una semplice pillola?
Quelli che si appellano alla tutela della salute delle donne per giustificare il ricovero – gli stessi che, guarda caso, di opponevano alla commercializzazione della Ru486 – mentono sapendo di mentire. Non esiste, in Italia, un organismo più accreditato dell’Aifa per garantire la sicurezza farmacologica.
Ora, al di là dei bigottismi nostrani, che ci fanno mantenere ad honorem uno degli ultimi posti in civiltà tra i paesi europei, diverse sono le considerazioni da fare.
La prima. La RU486 è disponibile su internet. Non ci vuole grande abilità per procurasela e abortire in casa. Basta un computer, una connessione a internet (ma l’internet point dietro l’angolo va benissimo), una carta di credito e un centinaio di euro. In massimo tredici giorni dal momento dell’acquisto la pillola arriva direttamente a domicilio. Così hanno fatto le donne italiane in questi mesi di limbo amministrativo, così faranno anche in futuro per evitare un ricovero.
La seconda. Sono più che frequenti i casi di donne che abortiscono chirurgicamente in day hospital. Arriviamo quindi al paradosso che l’aborto chirurgico, a maggior margine di rischio, può avvenire in day hospital, mentre per quello farmacologico è previsto un ricovero di tre giorni.
La terza. Nessuno può obbligare un paziente alla permanenza in ospedale. Presumibilmente, le donne che preferiscono la pillola al bisturi firmeranno dopo averla inghiottita e torneranno a casa.
Insomma, la puzza di ipocrisia è forte e, nonostante ci siamo abituati, veramente fastidiosa.
Come non andare con il pensiero agli anatemi della Chiesa sugli omosessuali mentre in tutto il mondo dilaga lo scandalo dei preti pedofili? Come non ricordare Berlusconi, Casini & Co, divorziati, con figli sparsi al di fuori del matrimonio (e, nel caso del primo, con frequentazioni tutt’altro che caste con il gentil sesso) battersi il petto in prima fila a fianco di illustri porporati al Family Day di Roma? Come dimenticare le ‘vacanze riproduttive’ fuori confine di una quantità impressionante di italiani ai quali le inumane restrizioni della legge 40 sulla procreazione assistita impedivano di diventare genitori?
Bene, questi siamo noi. Il mondo civile va avanti e noi indietro, arroccati a pregiudizi religiosi e antiscientifici che si rivelano dannosi per la salute, dispendiosi, obsoleti, ridicoli e, infine, ipocriti. “Mamma! Ciccio mi tocca! Toccami Ciccio, che mamma non guarda”.
Cecilia M. Calamani – Cronache laiche