Dopo aver rassicurato il Nuovo centro destra – in occasione del voto di fiducia alla Buona Scuola – che «riferimenti alla teoria del gender non potranno essere oggetto di attività scolastiche extracurriculari» (così ha dichiarato Gaetano Quagliariello, coordinatore Ncd), il ministro dell’Istruzione Giannini torna sul tema con una nota ufficiale dal titolo “Piano dell’offerta formativa” (Prot. n. 4321 del 06.07.2015). La fantomatica “teoria del gender”, quella cioè che insegnerebbe ai ragazzi a masturbarsi, scambiarsi i vestiti tra maschi e femmine e mettere in discussione la loro appartenenza biologica, pervade il documento senza mai essere nominata. Ma il sottinteso è tanto evidente che Avvenire, gongolante, titola “Teoria del gender: a scuola consenso informato”.
La circolare ribadisce ciò che è già noto, e cioè: «Le famiglie hanno il diritto, ma anche il dovere, di conoscere prima dell’iscrizione dei propri figli a scuola i contenuti del Piano dell’Offerta Formativa e, per la scuola secondaria, sottoscrivere formalmente il Patto educativo di corresponsabilità per condividere in maniera dettagliata diritti e doveri nel rapporto tra istituzione scolastica autonoma, studenti e famiglie».
Tralasciando il giubilo dei soliti noti per una non-notizia (ma il disegno di legge l’hanno letto o hanno votato la fiducia per sentito dire?), c’è da chiedersi perché un ministro debba affrontare in modo così contorto un concetto tanto semplice. La “teoria del gender” non esiste, se non nella testa bigotta di chi vorrebbe impedire che nella scuola pubblica venga introdotto il dibattito sulla sessualità portando l’Italia fuori dai secoli bui dell’Inquisizione. Perché Giannini non l’ha detto a chiare lettere?
Sull’altro piatto della bilancia di una teoria immaginaria c’è l’ora di religione. Facoltativa, se può essere chiamato “facoltativo” un insegnamento per il quale i genitori devono dire sì o no all’iscrizione di ogni nuovo ciclo scolastico (non mi risulta che per i corsi di fotografia valga la stessa regola). Lì si insegna il contrasto alla diversità, cioè la discriminazione, il peccato insito nel sesso (che raddoppia nel caso di “contro natura”) e una serie di favolette mal riuscite che esaltano la verginità come virtù – naturalmente tutta femminile – mentre contraddicono scienza, coscienza e libertà. Il tutto a carico dello Stato, che paga di tasca sua (ovvero nostra) insegnanti scelti ogni anno dalla Curia.
A scuola, dunque, non si può parlare di “genere” se non nell’accezione punitiva e sessuofobica di Santa Madre Chiesa. E il ministro dell’Istruzione, invece di scusarsi con i genitori per uno scellerato patto che dal 1929 indottrina gli studenti insegnando una normalità che nei fatti non esiste, li rassicura garantendo che il sesso e i suoi derivati non arriveranno mai, se non come la Chiesa gradisce, sul tavolo dell’offerta formativa della scuola pubblica. Chapeau.
Cecilia M. Calamani – Cronache Laiche