Di recente la Corte Europea per i diritti dell’uomo (Cedu), organo giurisdizionale del Consiglio d’Europa, si è pronunciata su quattro casi riguardanti presunte violazioni dei diritti umani nei confronti di alcuni cittadini di religione cristiana in Gran Bretagna. Il Consiglio d’Europa, organismo internazionale (da non confondere con l’Unione Europea) costituito da 47 Stati con il fine di promuovere la democrazia e i diritti dell’uomo, si è dotato di una corte di giustizia, la Cedu appunto, per decidere sui casi di presunta violazione dei diritti umani in danno di cittadini degli Stati membri.
I quattro casi all’esame della Corte hanno in comune il fatto che si tratta di controversie tra lavoratori e datori di lavoro, che avrebbero applicato ingiuste sanzioni – in alcuni casi anche il licenziamento – a causa del comportamento tenuto dai dipendenti sul posto di lavoro, comunque riconducibile a motivi religiosi.
Due di questi ricorsi riguardavano dipendenti che indossavano simboli religiosi mentre negli altri due casi i lavoratori hanno tenuto, in applicazione delle proprie convinzioni religiose, comportamenti in contrasto con l’incarico professionale loro assegnato.
In tutti i casi, di fronte alla contestazione del datore di lavoro i lavoratori avevano reagito appellandosi alla libertà di espressione religiosa, secondo loro gravemente lesa dal comportamento discriminatorio tenuto in loro danno.
Uno solo di questi ricorsi è stato accolto, mentre gli altri hanno visto soccombere il lavoratore.
La Corte europea sembrerebbe non aver tenuto un atteggiamento uniforme nei confronti dei quattro casi in esame ma la contraddittorietà è solo apparente poiché le sentenze riflettono la diversità delle fattispecie sottostanti.
In dettaglio, la Corte ha accolto il solo ricorso presentato da un’impiegata della compagnia aerea inglese British Airways alla quale era stato proibito di indossare i propri simboli religiosi, in particolare il crocefisso, in quanto un regolamento interno della compagnia vietata a tutti i dipendenti di indossare spille, catenine o gioielli. In tale divieto la Corte di Strasburgo ha ravvisato una violazione della Convenzione europea sui diritti dell’uomo sulla libertà di pensiero, coscienza e religione e ha dato ragione all’impiegata.
Negli altri casi, uno solo era direttamente confrontabile con il precedente ed è quello di una infermiera che insisteva nell’indossare il crocefisso nonostante l’ospedale ove lavorava lo vietasse per evidenti motivi igienico-sanitari. Di fronte al persistere del comportamento l’ospedale ha preso dei provvedimenti contro i quali è ricorsa l’infermiera, vedendosi però dare torto dalla Corte europea.
Gli altri due casi, anch’essi rigettati dalla Corte, erano in parte diversi perché si trattava di un ufficiale di stato civile addetto alla tenuta dei registri anagrafici che si era rifiutato di registrare una coppia omosessuale in quanto atto contrario alla sua fede personale e il caso di un assistente sociale che, nell’espletamento del suo lavoro, non aveva trattato le coppie omosessuali allo stesso modo di quelle eterosessuali.
Ora resta da capire quali sono i motivi per cui la Corte europea ha deciso diversamente tra casi molto simili: qual è stato il criterio che ha fatto sì che una sentenza fosse favorevole a chi indossava simboli religiosi e le altre tre sentenze fossero invece contrarie?
La posizione dei giudici europei non è stata semplicemente quella di scegliere tra due opposte e distanti posizioni: la prima che impone l’affermazione piena e incondizionata del diritto di espressione religiosa e la seconda consistente invece nell’applicazione di un principio laico stretto che fa divieto di mostrare ostentatamente nei posti di lavoro pubblico il proprio credo religioso, soprattutto quando attuato con intenti intimidatori o di proselitismo, oppure di modificare la propria mansione lavorativa in relazione al credo praticato.
La scelta non è stata così semplice e tranciante, ma più articolata e sfumata.
La Corte ha così ragionato: la libertà di espressione religiosa è un diritto fondamentale dell’individuo che può però trovare limitazioni in presenza di gravi ragioni e con senso della misura. Si tratta quindi di un principio non assoluto, ma applicabile caso per caso, e il giudizio può esprimersi in soluzioni diverse.
La Corte ha quindi confrontato il diritto religioso della lavoratrice inglese con la necessità per la compagnia aerea di mantenere una divisa uniforme per i propri dipendenti e ha deciso che il diritto individuale fosse più importante.
Viceversa nel caso dell’infermiera dove la Corte ha invece ritenuto che i rischi per la salute dei pazienti fossero ragione sufficiente per vietare monili pericolosi in corsia, come ad esempio le croci pendule, e quindi alla lavoratrice ha dato torto.
Negli altri due casi, in realtà diversi dai precedenti, la Corte ha ritenuto che il dovere di espletare il proprio incarico di dipendente pubblico non permettesse al dipendente di esercitare l’obiezione di coscienza nei confronti di comportamenti ritenuti contrari alla propria fede.
Delle sentenze Cedu non potrà fare a meno di tenerne conto anche la nostra magistratura ove chiamata a decidere su casi simili, perché non dobbiamo credere che le vicende giudiziarie trattate siano così lontane e diverse dalle nostre. In realtà nei casi inglesi si ritrovano i lineamenti di vicende analoghe verificatesi in casa nostra. Ricordo per esempio la valutazione derogatoria applicata da un p.m. al velo che copre il volto di una donna rispetto all’applicazione delle leggi di pubblica sicurezza e il ben più importante e diffuso fenomeno dell’obiezione di coscienza in materia di aborto che ha condotto a gravi limitazioni del servizio pubblico da parte di parecchi ospedali italiani dove non è più possibile praticare l’interruzione della gravidanza oppure farlo solo con gravi disagi.
Il principio riaffermato dalla Cedu mi sembra condivisibile e andrà declinato caso per caso senza prevaricazioni e con equilibrio. Il diritto di espressione religiosa è in Italia previsto dalla Costituzione ma esso non è dogmaticamente incomprimibile ma può e deve essere temperato e contenuto laddove particolari circostanze facciano prevalere interessi collettivi o di rango più elevato.
Da ultimo vorrei ricordare che prendendo lo spunto dalle sentenze Cedu le frange cattoliche più integraliste e la stampa sensazionalista hanno subito gridato alla persecuzione religiosa in danno dei cristiani, ripresentando il consueto messaggio di una emarginazione o persecuzione in atto verso la religione ed il cristianesimo anche nei paesi europei
Ragionevolmente non mi pare esista alcun preconcetto attacco laicista, né in Italia né in Europa, contro i simboli religiosi, come dimostrano i milioni di persone che ostentano indisturbati una croce sul posto di lavoro e i crocefissi che, in Italia, continuano a presenziare al pubblico insegnamento nelle aule scolastiche e alle sentenze nelle aule di giustizia.
Dagoberto Frattaroli