Gian Enrico Rusconi su La Stampa del 4/1/2008
Il Partito democratico è colto impreparato dall'apertura del nuovo fronte della laicità. Talvolta sembra infastidito, convinto di avere cose più serie di cui occuparsi. Così si lascia dettare temi, argomenti e stile comunicativo dagli avversari. Paradossalmente si tratta anche di avversari interni o «entristi», come diceva una volta la sinistra militante. Non saprei infatti come definire diversamente Paola Binetti. Talvolta i teodem danno l'impressione di voler tenere sotto ricatto la direzione del Partito democratico e virtualmente lo stesso governo. Come si è visto con il comportamento della stessa Binetti in Senato.
Eppure sui temi dell'etica pubblica il presidente del Consiglio, tanto loquace e pugnace in queste settimane, sta zitto. Lo stesso Walter Veltroni non si espone molto. Sono intimiditi oppure i due leader non sanno che cosa dire, al di là delle rituali dichiarazioni di principio sulla laicità?
Il loro silenzio fa una pessima impressione. Non hanno capito che la congiuntura culturale sta cambiando? Ma hanno gli strumenti concettuali per affrontare la situazione? Sembra di no, se si legge lo striminzito testo programmatico sui valori laici del partito, preoccupato più di rassicurare gli uomini di Chiesa che di definire con chiarezza la tanto decantata «nuova laicità».
Prodi sembra fermo alla sintesi laici-cattolici che è stata elaborata con successo qualche decennio fa dai «cattolici democratici». Era una sintesi in grado di affrontare la transizione alla nuova società secolarizzata sotto il segno delle attese postconciliari e della «fine delle ideologie». Ma questa sintesi è entrata in difficoltà dinanzi alle nuove problematiche bioetiche degli Anni Novanta e del nuovo millennio. (Ne è testimone l'imbarazzato ripiegamento su se stessa dell'Associazione del Mulino, un gruppo culturale composto tradizionalmente di laici e cattolici, che avrebbe potuto guidare con autorevolezza la nuova fase).
Parallelamente Walter Veltroni coltiva anacronisticamente una sindrome togliattiana, senza rendersi conto che questa è ormai fuori tempo e fuori luogo. Togliatti ragionava da politico in un contesto dominato dalla questione sociale, dalla faticosa maturazione democratica del movimento comunista. In un Paese che aveva assoluto bisogno di stabilità e di consenso sui valori politici di fondo per costruire il proprio futuro. Parte essenziale di questa politica erano le strategie di intesa con il partito dei cattolici e, al di là di esso, con la Chiesa, anche su valori di costume, condivisi dalla stragrande maggioranza della popolazione, a prescindere dalle differenze politiche. Ma questa fase è conclusa mentre sono cambiati gli italiani stessi (giovani, donne, famiglie) che hanno maturato comportamenti diversi.
Essere laico oggi non significa fare dichiarazioni di credenza personale, ma prendere un impegno collettivo verso tutti i cittadini come tali, perché orientino le loro condotte di vita senza imporre o subire limitazioni improprie – siano essi credenti, non credenti e diversamente credenti -. E senza che siano diffamati moralmente. A questo proposito è tempo di smettere una volta per tutte di ripetere meccanicamente nel dibattito pubblico la coppia antagonista «credente/non credente», considerando quest'ultimo termine come il vero sinonimo di laico. Con relativo sospetto morale. Non si tratta di fare rivendicazioni su chi, a prescindere dall'adesione ad una religione formale, ha comunque una fede più o meno autentica (come talvolta sono tentati di fare alcuni laici).
Il punto è prendere sul serio gli uomini di Chiesa quando dichiarano enfaticamente di muoversi su un piano di mera razionalità, e dunque di laicità, mentre in realtà sospettano di mala moralità chi non la pensa come loro.
Oggi per certi cattolici la Repubblica non è più «fondata sul lavoro», ma sulla famiglia (ovviamente «naturale» nel senso da essi perentoriamente definito). In questo contesto nel Partito democratico manca un fermo e sereno pronunciamento di cultura laica. Parlo di orientamento propositivo, affermativo, non meramente difensivo, come sta accadendo in questi giorni anche di fronte ai propositi di revisione della legge sull'aborto. Intendiamoci: non si tratta di fare un catechismo laico, ma di sostenere energicamente nel discorso pubblico i valori, istintivamente diffusi tra milioni di donne e di uomini, circa i nuovi spazi di libertà, di autonomia e di responsabilità personale, che sono garantiti dalla pratica dei principi laici. Spazi che non mortificano minimamente i convincimenti e i comportamenti dei cattolici che seguono la dottrina della Chiesa. È questo discorso pubblico laico che ci si aspetta dai leader del partito democratico, non tatticismi presuntivamente togliattiani.