Tranquilli, questa non è l’ennesima recensione di “Strappare lungo i bordi” ma uno sfogo.
Il fatto che ZeroCalcare sia un grande autore contemporaneo in grado di raccontare il disagio di più generazioni passando dall’intimismo degli esordi (La profezia dell’Armadillo) all’impegno politico internazionalista (Kobane Calling), noi non lo scopriamo di certo oggi. E se c’è qualche sedicente intellettuale che dopo il successo su Netflix, cade dal pero e non sa neanche di chi stiamo parlando perché è troppo snob per leggere le graphic novel non è cosa che ci riguarda, magari lo scoprirà solo quando sarà pubblicato un saggio di una collana di quelle toste con un titolo del tipo: “Da Proust a ZeroCalcare, come ritrovare il tempo perduto”.
Quindi di “Strappare lungo i bordi” vogliamo solo dirvi: ottimo lavoro, come quasi tutto quello che produce Michele Rech, da vedere assolutamente anche se per chi conosce già i suoi lavori alcune cose sapranno inevitabilmente un poco di deja vu.
Detto questo, dopo poco più di una settimana da quando le sei puntate sono state rese disponibili su Netflix il bombardamento di merda a cui ZeroCalcare è sottoposto (e di conseguenza indirettamente anche noi che lo seguiamo sui social) ha già superato i limiti della comprensione per l’umana invidia, per l’umano bruciore del perineo, e dell’ignoranza politica di chi è stato messo a riempire spazi web per lo più inutili.
Alla fine le critiche arrivate da mass media e pagine della destra pseudofascista o che non-è-fascista-però sono le uniche comprensibili. Prendiamo ad esempio Il Secolo d’Italia su cui Valeria Gelsi scrive: “Ma i centri sociali sono campioni del mainstream” e quindi “non c’è poi molto di cui stupirsi se chi viene da lì facilmente fa il balzo in realtà come Netflix e Amazon“.
Che dire? Tutto ritorna nel fantastico mondo immaginario costruitosi nelle menti di chi non-è-fascista-però. Lì infatti le lobby pluto-giudaiche-massoniche-progressiste (oggi si dice Soros, c’est plus facile) governano l’intero pianeta e ovviamente anche la programmazione Netflix. Quindi, come loro abitudine, vogliono convincerci che il male è bene e il bene è il male, che il progresso è la distruzione della società e che il ritorno al feudalesimo a battere liberamente moneta (lire, fiorini, talleri e sesterzi a seconda del comune di appartenenza) è la soluzione che ci riporterà tutti all’età felice dove non c’erano ogm e vaccini, l’aspettativa di vita era trent’anni (certo che è un bene “chi è lo scemo che vuol vivere di più di trent’anni?” come dicevano i surfisti ventenni di Point Break) e al terzo colpo di tosse consecutivo radunavi i figli per dirgli dove avevi nascosto i risparmi. Niente di strano, sono d’accordo anche Fusaro e Rizzo su questa la linea.
In quest’ottica quindi ZeroCalcare trova spazio su Netflix in quanto propaganderà bruttissima roba volta a sovvertire l’OrdineNaturale™: cioè roba come i diritti delle persone lbgtq+, i migranti che non sono nostri nemici, forse finanche diritti delle donne… insomma il comunismo come direbbe la celebre “Vicky di Casa Pound”.
La Gelsi ampia il suo delirio lucido, paragonando ZeroCalcare su Netflix a Fedez su Amazon (sarebbero reti concorrenti ma di certo saranno unite nel nome di Soros nel suo mondo fantastico) che “però si è guardato bene dal parlare dei diritti dei lavoratori” quando era ospite al Primo maggio. No, non chiedetevi “ma che minchia c’entra?” chiedetevi piuttosto se la Gelsi ha mai letto il giornale per cui scrive.
Insomma niente di strano: solita rosicata colossale di gente che non-è-fascista-però per una zecca che ha successo, ci può stare, dai.
Quel che invece è arrivato da penne sedicenti progressiste è veramente segno non del declino ma dell’impresentabilità di quasi tutto ciò che viene fatto passare come “critica culturale“.
Sappiamo bene che dietro tutto ciò c’è la solita politica acchiappaclick per cui, c’è un film un libro una serie che è piaciuta a molti? Parliamone male così la gente viene ad insultarci sul nostro sito o la nostra pagina facebook ed è tutto grasso che cola.
Il problema è che chi presta la sua penna e la sua faccia a parlarne male dovrebbe avere competenze per farlo e costruire una critica ragionata. Non coprirsi di ridicolo solo per far qualche click in più.
Cominciamo dalla madre di tutte le idiozie, la critica a ZeroCalcare perché parla, e fa parlare i suoi personaggi, in romanesco.
In molti hanno ricordato che, se questa fosse una critica ammissibile nel mondo dello spettacolo, non avremmo mai avuto Proietti, Fabrizi, Sordi, Verdone, e di logica conseguenza neanche Jannacci, Gaber, Cochi e Renato, Benigni, Nuti, Totò, Troisi e ci fermiamo qui per pietà verso chi non sa cosa dire ma deve acchiappare click per lavoro. Tipo la famigerata Guia Soncini de Linkiesta.it i cui deliri a-culturali sono una barriera invalicabile fra quel giornale e la presentabilità. Tralasciando le esternazioni sul romanesco e sui romani, la famigerata voce culturale della nota linea editoriale non-sono-di-destra-ma-neanche-di-sinistra scrive: “Tutto questo per dire che mi sembra molto interessante la campagna promozionale di Strappare lungo i bordi […] ma non avrei mai guardato la serie: se avessi voluto passare i miei cinquant’anni a guardare cartoni animati, avrei fatto dei figli. Ne ho vista una puntata per capire di cosa si sarebbe parlato nei giorni successivi.”
“Non leggo mai i libri che devo recensire non vorrei farmi influenzare!” diceva del resto Oscar Wilde e se qualcuno di voi ha tanto tempo e tanta pazienza provi a spiegare alla Soncini che era una battuta. Per il resto ci sembra che il suo passaggio sui figli e i cartoni animati la dice lunga ed evitiamo di aggiungere commenti e considerazioni pleonastiche.
Che i Turchi si siano incazzati per le bandiere Kurde ci sta tutta, ce lo appuntiamo quindi nell’agendina delle cose di cui non ce ne po’ frega’ de meno e andiamo avanti.
Ci meraviglia un poco di più che Rolling Stone abbia fatto insultare preventivamente i fan di ZeroCalcare a ruota libera e anche con poca ironia (nonostante sia evidente lo sforzo colossale di Francesca D’Angelo nel tentativo di risultare ironica, speriamo per il suo bene che abbia avuto vicino i kleenex per asciugare il sudore quando ha scritto il pezzo); ma poi ci ricordiamo in primis che da una rivista che disprezza i Genesis è lecito aspettarsi di tutto, e in secondo luogo che la D’Angelo scrive anche per Libero. Tutto torna come si suol dire.
E tornano anche i grandi misfatti de Linkiesta; forse in quella redazione non si mangiavano i bambini e non si progettava la fluorazione delle acque… ma chissà perché buona parte dei giornalisti con le idee molto confuse escono da lì! Insomma, sarà un caso che Manuel Peruzzo e Nicola Mirenzi siano passati entrambi le per le pagine virtuali di quella redazione?
Il primo vuole evidentemente essere la voce di tutti quelli che “ecco, fa tanto il comunista e poi va su Netflix!” con il suo articolo sul Foglio. Se questo pezzo fosse stato il tema di un liceale il giudizio non potrebbe che essere il seguente: “Manuel Peruzzo mescola personaggi, frasi e concetti estrapolandoli non a caso, che sarebbe già un’attenuante, ma scegliendo con cura quello che gli fa comodo e li unisce in unico calderone ottenendo una zuppa riscaldata che dovrebbe, a suo modo di vedere, criticare l’oggetto del proprio rancore ma che invece evidenzia solo l’inconsistenza dei propri ragionamenti. Quattro, ritorni a settembre”
Il secondo nella sua rubrica sull’Huffington Post ha il pregio di non disprezzare i lavoro di ZeroCalcare (del resto per uno che ha lavorato con Makkox sarebbe davvero grave), però chissà perché gli viene da usare questo aggettivo per definire l’autore: impolitico.
Ora se le parole hanno un senso dalla Treccani sappiamo che: impolìtico – Contrario a una politica accorta, politicamente inefficace o inopportuno: discorso, atteggiamento i.; azione i.; un tale provvedimento, in queste circostanze, sarebbe impolitico. Per estens., di qualsiasi atto, discorso, comportamento che riveli scarsa accortezza, e sia quindi inopportuno, controproducente.
Ora qui, ce ne rendiamo conto, il discorso andrebbe sui massimi sistemi e già abbiamo abusato della pazienza dei nostri (pochi, non siamo mica acchiappaclick) lettori; ci limitiamo quindi a una domanda che quasi certamente resterà senza risposta: il Mirenzi intende il termine Politica nel senso alto di questo o, viceversa, per lui è politica lo scempio istituzionale a cui abbiamo assistito negli ultimi venti anni?
Allora delle due una, se “fare politica” significa non solo la scienza e l’arte di governare un paese (vedi Treccani) ma anche e soprattutto l’attività di chi partecipa direttamente alla vita pubblica in ogni sua forma e quindi anche scrivendo, recitando, cantando etc. allora ZeroCalcare non solo è politico ma dovrebbe essere supplicato in ginocchio dai partiti politici e dalle istituzioni di aiutarli a capire dove hanno sbagliato in questi ultimi trent’anni.
Viceversa se per il Mirenzi politica sono le riprovevoli gesta dell’oligarchia partitica che ha sostituito negli ultimi decenni la democrazia italiana che non era certo perfetta ma per lo meno era formalmente tale, allora sì siamo d’accordo: ZeroCalcare è impolitico.
Per nostra fortuna.
Alessandro Chiometti