LIETTA TORNABUONI su La Stampa del 12/2/2010
Uno dei santuari più famosi del mondo occidentale, méta di sei milioni
di pellegrini l'anno, dedicato alla Madonna che in quel luogo francese
si vuole apparisse nel 1858 per diciotto volte alla contadina
Bernadette Soubirous, sede di miracoli certificati dalla Chiesa
cattolica, città religiosa e città turistica, in un film di grande
qualità diretto da Jessica Hausner, austriaca, cattolica sbattezzatasi
in età adulta. Lourdes racconta il percorso di una giovane donna
amareggiata e dolente, malata di sclerosi e costretta dall'infanzia
sulla sedia a rotelle: il suo pellegrinaggio avviene con poca speranza
di venir miracolata, invece nel santuario riacquista la possibilità di
camminare e persino di ballare, è felice per la breve durata
dell'illusoria guarigione, ricade nella immobilità.
Il film ha in parte l'andamento di un bellissimo documentario: con attenzione e pathos vengono descritti i riti e gli impegni quotidiani dei pellegrini a Lourdes, l'immersione nell'acqua della piscina miracolosa come la collettiva sala-mensa, la visita alla grotta mistica come la stanza da letto e le cerimonie religiose di impetrazione, il rapporto con infermiere, volontari e guardie in divisa sempre presenti, la tristezza di trovarsi costantemente in compagnia di persone malate concentrate su una speranza perlopiù frustrata. Questa descrizione minuziosa è ispirata a una fisicità che non ha nulla di spirituale ma si rivela molto, molto interessante, proprio grazie al suo materialismo. Una parte diversa di Lourdes riflette e a volte discute sul miracolo: cos'è, perché accade, perché favorisce alcuni e non altri, perché non si verifica. Infine, tutto il film mostra il volto del dolore umano: le facce deformate dalla sofferenza, le persone alterate dal rancore (perché lei sì e io no?), la speranza e la fede come consolazioni impossibili, la preghiera come mantra penoso. Eppure il permanere di intensa umanità: le piccole vanità e rivalità, l'insorgere improvviso d'una risata, la stanchezza fisica più forte di tutto.
Molto bello e onesto, senza ironia, preclusioni ideologiche né pregiudizi. La protagonista Sylvie Testud è un'attrice bravissima e non bella, anche scrittrice (il suo Senza santi in paradiso è pubblicato da Salani). Lo stile e il freddo pathos del film sono perfetti.