L'alleanza tra Cei e Ancona finisce in tribunale
Era nata per "purificare lo sport dal business"
Giacomo Galeazzi su La Stampa del 16/2/2008
Doveva «pacificare il calcio professionistico e purificarlo dal
business», ma ora è guerra di denari sul «progetto soccer» benedetto
dal Pontefice.
In ottobre la firma al Pontificio oratorio San Pietro dell'accordo tra l'Ancona (in lotta per la promozione in serie B) e il Csi (Centro sportivo italiano) collegato alla Cei, la Conferenza episcopale italiana (i vescovi). Poi l'udienza in Vaticano e la consegna a Ratzinger della nuova maglia della società marchigiana, personalizzata col nome del Papa. Con tanto d'appello del segretario di Stato, Tarcisio Bertone, «a cogliere la valenza educativa dello sport, fattore di autentica promozione umana», prima dell'amichevole tra l'Ancona e le All Star Clericus Cup, selezione dei migliori atleti del Mondiale pontificio per seminaristi e sacerdoti. Le partite della «squadra del Papa», col logo Csi sul petto, finirono sulle tv di tutto il mondo, accompagnate da proclami per lo «sport etico» e dal codice di comportamento per i giocatori: niente scorrettezze o insulti in campo, pena prestazioni di volontariato obbligatorie.
Carte bollate
Appena quattro mesi e già si profila il divorzio, con carte bollate, litigi sui soldi, scambi d'accuse, richieste di risarcimenti. «Siamo un'associazione seria, senza risorse non possiamo operare, le belle parole non bastano, servono i fondi», tuona Edio Costantini, presidente nazionale del Csi che punta l'indice contro l'Ac Ancona «per non aver supportato economicamente, come avrebbe dovuto fare, le attività e le iniziative del progetto». E ciò, attacca il Csi, «pur avendo regolarmente percepito gli introiti pubblicitari, di cui dispongono, per entità, poche società, non solo di C1 ma anche delle serie maggiori». Insomma, se la famiglia di Sergio Schiavoni e i soci milanesi del club biancorosso non metteranno mano al portafoglio, «la fine del "progetto soccer" sarà purtroppo inevitabile e ognuno si dovrà assumere le responsabilità e le conseguenze di questo inopinato insuccesso», annuncia una nota del Csi. E pensare che la discesa in campo della Chiesa nel rettangolo verde puntava proprio a una svolta moralizzatrice «come antidoto alle derive più discutibili del fenomeno calcio: commercializzazione e tecnicismo esasperati, perdita di senso del limite, diluizione dei valori basilari dello sport». Per la prima volta nella sua storia, il Csi, fondato dall'Azione Cattolica e i cui responsabili ecclesiali vengono nominati dalla Conferenza episcopale, era entrato nello sport professionistico per fare dell'Ancona «il laboratorio di un nuovo modello di gestione finanziaria, ispirato alla trasparenza e al concetto di sostenibilità, flessibilità del vincolo da cartellino, diffusione di un'autentica cultura sportiva, apertura del club a finalità sociali». In pratica, da piazza delle bufere giudiziarie dei presidenti Edoardo Longarini ed Ermanno Pieroni a squadra dei preti, tanto che l'arcivescovo di Ancona, Edoardo Menichelli esultò «per un modo innovativo di moralizzare il calcio e per una positiva assunzione di responsabilità mirata a riportare un po' di etica in un settore professionistico in grave crisi di valori».
Il Csi voleva fare dell'Ancona lo strumento per rendere il calcio «educativo, non più ancorato ai valori esclusivamente economici delle logiche di mercato». Peccato che adesso è proprio sui soldi che si infrange il «progetto soccer».
Patti infranti
Il Csi imputa al club marchigiano di non aver rispettato i patti, mentre per la società a essere inadempiente è proprio il Csi che aveva garantito di portare ad Ancona sponsor per un un milione e 250 mila euro. «Quest'anno sono arrivati solo 450 mila euro dall'Italiana Assicurazioni (600 mila il prossimo anno), tanto che ora dovremo ricapitalizzare la società». I soldi trovati finora dal Csi sono serviti alla gestione tecnica, al lancio dell'iniziativa e agli stipendi dei calciatori. Le quote dell'Ancona sono divise in parti uguali (20%) tra la famiglia Schiavoni (che in ottobre proclamava con orgoglio: «Siamo stati scelti dal Csi per la nostra pulizia, la specchiata moralità e la fede religiosa»), l'imprenditore trevigiano Alessandro Fassina, il finanziere milanese Ugo Colombo, la banca on-line Twice e una cordata legata al banchiere Enrico Petocchi. «Il Csi reclama pure la sua quota per la mediazione nelle sponsorizazioni – spiega Sandro Angeletti, voce del tifo biancorosso – e mentre litigano sui soldi la squadra è scivolata dal primo al quinto posto, vincendo due delle ultime 13 partite. Ora la società intende querelare il Csi per diffamazione». Niente male, come tentativo di eticizzare il calcio.