Il processo contro i sette componenti della Commissione grandi rischi in carica nel 2009, anno del devastante terremoto che investì L’Aquila nella notte del 6 aprile, è arrivato a sentenza: sei anni di reclusione e l’interdizione perpetua dai pubblici uffici per tutti gli imputati, giudicati colpevoli di omicidio colposo plurimo e lesioni colpose. Un verdetto choc che sta già facendo il giro del mondo e individua gli esperti della Commissione come responsabili di aver sottovalutato i rischi di un terremoto che poi si rivelò distruttivo. A tutto questo va aggiunto un risarcimento ai familiari delle vittime e al comune dell’Aquila di 7,8 milioni di euro più le spese giudiziarie, cui dovrà provvedere anche la presidenza del Consiglio ritenuta responsabile civile.
Diverse le reazioni alla notizia della condanna. Dallo scoramento dei protagonisti, come l’ex presidente dell’Ingv, Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia, Enzo Boschi, che afferma «Pensavo di essere assolto. Ancora non capisco di cosa sono accusato», o di Bernardo De Bernardinis, ex vicecapo della Protezione civile e attuale presidente dell’Ispra, che dichiara «La mia vita da domani cambierà, ma se saranno dimostrate le mie responsabilità in tutti i gradi di giudizio le accetterò fino in fondo», al plauso dei cittadini riuniti in piazza Duomo all’Aquila per discutere con il loro sindaco di tasse. O alla soddisfazione di Giampaolo Giuliani, il tecnico che studia il radon come precursore sismico, che parla di processo storico.
Veemente la reazione del fisico Luciano Maiani che non esita a definire quanto accaduto come «la morte del servizio prestato dai professori e dai professionisti allo Stato». L’ex presidente del Cnr e fino a ieri presidente della Commissione grandi rischi, ha annunciato le sue dimissioni dall’organismo: «Non vedo le condizioni per lavorare serenamente». Dello stesso avviso anche l’Ingv che in un comunicato stampa osserva che «la sentenza costituisce un precedente, in grado di condizionare in modo determinante il rapporto tra esperti scientifici e decisori, non solo nel nostro Paese. La sentenza di condanna di L’Aquila rischia, infatti, di compromettere il diritto/dovere degli scienziati di partecipare al dialogo pubblico tramite la comunicazione dei risultati delle proprie ricerche al di fuori delle sedi scientifiche, nel timore di subire una condanna penale. Quale scienziato vorrà esprimere la propria opinione sapendo di poter finire in carcere?»
Nell’attesa di conoscere le motivazioni della sentenza possiamo leggere il verbale della famigerata riunione della Commissione tenutasi il 31 marzo, ritenuta dall’accusa inadeguata e superficiale, che ha portato la protezione civile a diramare annunci rassicuranti che hanno messo in pericolo molte persone. Dalla lettura del verbale, però, non appaiono imprecisioni, incompletezze o toni rassicuranti, ma un’analisi della situazione basata sulle conoscenze scientifiche disponibili. La conclusione è che non c’erano allora, come non ci sarebbero oggi in una situazione simile, indicazioni che facessero pensare all’imminente verificarsi di un evento sismico di forte intensità a seguito del protrarsi di una sequenza di bassa magnitudo. Il che non significa escludere la possibilità di un forte terremoto ma, semplicemente, vuol dire non possedere gli strumenti concettuali per esprimersi in un senso o nell’altro con la precisione richiesta. Lo sa bene Giuseppe Zamberletti, presidente emerito della Commissione e anche lui dimissionario insieme agli altri vertici, che da ex ministro della Protezione civile nel 1985 ordinò lo stato d’allerta per dieci comuni della Garfagnana, facendo chiudere le scuole e disponendo l’evacuazione di centomila persone. Il terremoto non arrivò e Zamberletti finì sotto inchiesta per procurato allarme. I terremoti sono imprevedibili e, purtroppo, allo stato attuale delle conoscenze non esistono fenomeni precursori affidabili, che siano sciami sismici o radon.
Se quindi la riunione con i sismologi non ebbe i contenuti indicati dall’accusa, perché una condanna uguale per tutti gli imputati senza una necessaria distinzione di responsabilità?
L’aspetto paradossale in questa vicenda è che tra i condannati compaiono Enzo Boschi e Giulio Selvaggi, responsabili del Centro nazionale terremoti dell’Ingv che nel 2004 realizzò la mappa della pericolosità sismica in cui L’Aquila era classificata come un’area di maggiore sismicità, cioè zona 1. Ma nella carta da essa derivata di competenza regionale e strettamente correlata alle norme tecniche di costruzione in zone sismiche, L’Aquila fu declassata a zona 2, con tutto quello che comporta in termini di sicurezza per i cittadini. Chi è responsabile di questa palese incongruenza? Non si sa e, comunque, non era seduto al banco degli imputati. Come non lo erano tutti quei costruttori, in odore di mafia, che hanno costruito alcune delle case crollate con tecniche e materiali inadeguati e i funzionari pubblici preposti al controllo.
Forse, come scrive il direttore delle Scienze Marco Cattaneo, si è trovato un bersaglio facile da colpire senza occuparsi delle vere responsabilità in gioco, molto più complesse e difficili da individuare. Ora la «fame di giustizia di questa città» – come l’ha chiamata il pubblico ministero Picuti – è stata soddisfatta.
Giovanni Boaga – Cronache Laiche