Ah quanti ricordi! Era il lontano 1988 quando lessi “Scheletri”, ovvero una raccolta di racconti del “Re”, al secolo Stephen King, indiscusso dominatore dell’allora piccola libreria della mia stanzetta.
Il primo racconto di quella raccolta era proprio “La nebbia”, capolavoro di suspence che mescolava gli orrori in puro stile H.P. Lovecraft alle consuete analisi psicologiche dei personaggi di King, già allora diventate un classico (…dopo Shining del resto come poteva essere altimenti?).
Il racconto metteva in luce come, anche di fronti ad indicibili “orrori” giunti da altre dimensioni (giganteschi ragni famelici, viscidi tentacoli appartenenti a non meglio descritti mostri, abnormi artropodi di cui non si riesce a cogliere neanche la fine) il vero pericolo per l’uomo giungeva sempre e comunque dalla sua stessa natura.
In particolare, in quella situazione assurda, prendeva potere nella piccola comunità di superstiti asserragliati in un supermercato (piccolo omaggio, non so quanto volontario, al film culto “Zombi” di George Romero del 1978) una fanatica religiosa che vedeva in quanto stava succedendo l’avverarsi delle profezie bibliche e mano a mano convinceva sempre più persone che l’unica soluzione per mettere fine all’avvento dei mostri dell’apocalisse era quella di offrire in sacrificio i bambini presenti.
In questi giorni è uscita la versione cinematografica di questo racconto una volta tanto, lasciata con il titolo originale “The mist” (di certo meglio così che tradurlo in modi ridicoli come spesso accade). Il regista è Frank Darabont già autore di due delle trasposizioni cinematografiche meglio riuscite dei libri del “Re” (ovviamente sto parlando dei due capolavori “Le ali della libertà” e “Il miglio verde”), che conferma di avere un debole per i suoi racconti. Fra l’altro il regista dedica un omaggio nel film alla saga letteraria più importante dello scrittore del Maine, “La torre nera”, ciclo di sette romanzi che Darabont vorrebbe portare sullo schermo ma sembra proprio che King da quell’orecchio non ci voglia sentire (per adesso).
Anche questa volta il regista americano riesce a comprendere appieno la filosofia del romanzo (a differenza di altri che le mistificano e le ribaltano completamente, vedi quello che è successo con la trasposizione di “Io sono leggenda” di R. Matheson), mettendo al centro delle vicende l’assurdo fanatismo religioso di Mrs. Carmody e la “resistenza” verso di esso delle persone “non impressionabili”.
Purtroppo, come spesso accade con i mostri di King, la loro versione cinematografica non gli rende giustizia. Come non ricordare in tal senso l’apparizione nel film “It” del ragno gigantesco che rovinò quasi quattro ore di suspence perfetta? Almeno allora c’era la giustificazione che non erano ancora arrivati i tempi in cui gli effetti speciali hanno reso possibile la “visualizzazione” sullo schermo della terribile “Shelob” del “Signore degli anelli”. Oggi presentare i ragni giganti e gli altri improbabili mostri di “The mist” in un modo grafico così approssimativo fa solo sorridere; va molto meglio quando questi rimangono sfocati nella nebbia.
Ma il film vale comunque il prezzo del biglietto, il finale, diverso rispetto al racconto, è quanto di più cattivo mente umana abbia mai concepito, evidentemente la lettura di Stephen King sta avendo una pessima influenza su Frank Darabont…
J. Mnemonic