Della follia islamica misogina nei paesi dove vige la sharja si parla regolarmente ovunque, inutile continuare a sottolinearlo. Non si parla invece dell’islam illuminato dei Kurdi dove le combattenti che combattono l’Isis si definiscono islamiche, ma non affrontiamo qui il discorso.
Così come non sono una novità le idee omofobe, misogine e sessuofobe degli integralisti cattolici in Italia, paese in cui i loro peggiori esponenti (come Pillon o Fontana tanto per non far nomi ma solo i cognomi) vorrebbero riportare le lancette del nostro paese molto indietro.
Cerchiamo di evidenziare questa comunità d’intenti da anni, da quando all’inizio degli anni 2000 i talebani de noantri si rivolgevano con disprezzo alle iniziative laiche invitandoci ad andare a farle a Teheran o a Kabul. Dicevamo, evidentemente a ragione, che la loro altro non era che l’espressione di un invidia verso il potere dell’islam in quegli Stati.
Del resto, semmai a qualcuno servissero ulteriori prove per questa correlazione, arriva puntuale la notizia che a Novara (amministrazione a guida leghista) il nuovo regolamento della Polizia Urbana recita testualmente al punto 11: “è vietato mostrarsi in pubblico in abiti che offendano il comune senso del pudore”. Il fatto che questo implica de facto il ritorno della “buoncostume”, nonostante le penose giustificazioni dei politici locali, è evidente. “Che roba, Contessa!” ci verrebbe ironicamente da aggiungere, ma soprassediamo perché negli ultimi tempi abbiamo visto qualcosa di più curioso.
Impegnati come siamo a cercare di contrastare il fenomeno della “violenza maschilista” e le persistenti discriminazioni contro le donne dobbiamo prender atto che qualche attivista femminista si è perso o si è persa qualche pezzo per strada.
Arrivare ad attaccare, come ha fatto qualche giorno fa la pasionaria Annamaria Arlotta, il Terni Horror Fest perché una delle immagini scelte per la grafica di quest’anno ha il gravissimo torto di mostrare una bocca sensuale di donna da cui “esce” o “finisce” una strada e quindi pecca di “pubblicità sessista”, significa davvero aver perso il lume della ragione.
La pasionaria e i suoi seguaci che al suo richiamo si sono scatenati in commenti al vetriolo e insulti gratuiti contro il festival (ovviamente sulle pagine del festival in oggetto, altrimenti come farsi pubblicità gratuita?), in un’azione squadrista degna della migliore falange fascio-informatica, sostengono che non c’è differenza fra la pubblicità di un noto profumo che mostrava una donna a terra in balia di cinque uomini dall’aria minacciosa e mostrare una bocca sensuale che trascende la realtà. Perché dicono loro “è comunque un’allusione sessuale”.
A parte la vigliaccheria generale del loro comportamento ( ad esempio ignorare i messaggi privati che invitavano alla ragione e al confronto pacato ma poi riprenderli per attaccarli senza contraddittorio sulla loro pagina, slogan buoni per la pancia profusi a pioggia etc.) bisognerebbe che questi puritani di ritorno si mettano in mente dei punti fissi su cui una democrazia davvero laica da non può prescindere:
- Una foto o un’immagine, pubblicitaria, artistica o quel che sia non deve per forza piacere a tutti. Si può criticare, si può dire che è di pessimo gusto, si può dire che non si parteciperà mai a un festival che ha scelto un’immagine del genere come promozione. Ma a meno che non sia un messaggio di odio, o di diffamazione personale, non si può chiederne la rimozione. Altrimenti si innesca un vortice di richieste di censura in cui la laicità e la democrazia finiscono.
- L’immagine che per la Arlotta e i suoi seguaci ha un così chiaro significato sessualmente invitante (evidentemente pensano solo a quello) per tutta la redazione del Terni Horror Fest era solo un omaggio a Twin Peaks (come tutta la grafica di quest’anno) e semmai un richiamo alla potenza delle dee pagane così potenti da distruggere o trascendere la realtà.
- Anche ammesso che ci possa essere un richiamo sessuale accennato dalle labbra sensuali della modella che commettono il grave peccato di essere carnose e non esangui secondo la Arlotta (che gentilmente ci ha mandato in privato tutta una serie di “bocche aperte” che secondo il suo dotto parere di esperta si possono mostrare, poi alla semplice constatazione che quelle immagini da lei portate come esempio sarebbero comunque bastate a qualche uomo per masturbarsi ha troncato la discussione) la semplice domanda che ci poniamo è: e allora? Cosa vogliamo fare, vogliamo vietare qualunque “allusione sessuale”? Del sesso non si può più parlare? O per non avere “allusioni sessuali” le donne debbono essere mostrate solo in burqa? Ce lo spieghi la pasionaria, perché è facile volare altissimi… ma poi nel concreto uno deve anche spiegare cosa fare. Forse vuole essere nominata censore unico delle immagini pubblicitarie con donne? O forse non solo delle immagini pubblicitarie?
- Infine ciò che manca nel discorso della Arlotta è la contestualizzazione del fatto. E’ ovvio ed evidente che c’è un problema culturale (e sottolineiamo culturale) quando il sedere o il seno di una donna vengono mostrati per vendere una pasta abrasiva per auto, un gel isolante per la doccia o il nuovo insetticida. Ma se si è in un contesto in cui, in positivo o in negativo, “la donna” c’entra qual’è il problema? Ogni immagine con una donna è sessista? Allora ogni immagine con i neri è razzista? Ogni immagine con gli animali è specista? Davvero, di cosa stiamo parlando?
Bisognerebbe davvero fare un reload degli insegnamenti della liberazione sessuale degli anni ’60 e regolare definitivamente i conti con le fobie sessuofobiche, sia omofobe che misogine, ma anche con questi puritanesimi di ritorno ridicoli.
Ricominciamo magari con un concetto semplicissimo: il corpo della donna è della donna. Ma non di tutte le donne, il corpo della donna è di quella donna. Le altre donne non è che possono metterci bocca in quanto donne, altrimenti quella donna cambia solo padrone. Dal suo uomo padrone alla sua pasionaria di riferimento.
Quindi che all’Arlotta piaccia o non piaccia, se una donna decide di mostrare le sue foto anche con allusioni sessuali più o meno esplicite, che il resto del mondo Arlotta compresa, si faccia i cavoli propri, grazie. A meno che, lo ribadiamo per i duri e le dure di comprendonio, non si stia prestando a un messaggio di odio o di prevaricazione razziale.
Ma altrimenti dove sta scritto che una donna in minigonna è una una donna oggetto? Ricominciamo con i centimetri della gonna? Con il sopra e sotto il ginocchio? O torniamo direttamente a sopra e sotto la caviglia? Ricominciamo con i funzionari Rai a scannarsi se 60 denari erano sufficienti per mostrare le gambe delle Kessler oppure no?
Insomma, la liberazione sessuale che il 1968 ha insegnato, la vogliamo accettare o vogliamo fare come i talebani de noantri che dividono ancora il mondo in rosa e celeste?
Non saremo andati avanti di molto se a decidere i denari delle calze o il rossetto che devono usare le modelle è l’Arlotta invece che Bernabei.
Alessandro Chiometti