La pratica dello sbattezzo inventata dal circolo anarchico “N. Papini” di Fano e messa a punto legalmente dall’UAAR (Unione Atei e Agnostici Razionalisti) in Italia non fa più notizia.
Qualche volta il sito UAAR riporta notizia di qualche prete “de coccio” che si ostina a non voler cancellare in seguito a regolare richiesta il nome dello sbattezzando, ma tant’è… la prassi è accettata dall’opinione pubblica e i raduni degli sbattezzandi non attirano più l’attenzione neanche del gossip.
Le forze avverse si fanno forza dell’indifferenza, trattando la minoranza (dalle diecimila alle ventimila persone secondo alcune stime) con noncuranza, anzi evitando proprio di parlare del fenomeno. Alcune repliche lasciate sui siti non ufficialmente a cura della Chiesa come quello dell’Unione dei Cristiani Cattolici Razionalisti (ossimori viventi), o come il delirante Pontifex, si limitano a dire che lo sbattezzo non gli fa né caldo né freddo, visto che un sacramento comunque non si può annullare.
È vero, come disse nel 1999 il garante della Privacy italiano, che non si può cancellare il battesimo perché era un fatto avvenuto, tuttavia si può richiedere di vedere cancellato il proprio nome dagli elenchi dei facenti parte della religione cattolica. Per ovvie ragioni di privacy, per l’appunto.
Ma se l’indifferenza e il non ti curar di loro sono le parole d’ordine qui in Italia, c’è da chiedersi allora perché la stessa Chiesa Cattolica Apostolica Romana sia così restia a concedere lo sbattezzo laddove le autorità civili non abbiano riconosciuto questo diritto.
In Polonia infatti le autorità e la Chiesa si stanno accanendo contro Dawid Sznaider che aveva richiesto la possibilità di vedersi cancellato dagli elenchi dei cattolici polacchi; mentre il garante per la privacy ha detto di non aver giurisprudenza sulle chiese (interessante…), un tribunale ha decretato che il richiedente dovesse essere considerato facente parte della Chiesa cattolica perché non aveva seguito le procedure fissate dalla stessa per la fuoriuscita secondo l’«Actus formalis defectionis ab Ecclesia catholica». Il colmo si è avuto quando, a seguito della sentenza, l’agenzia cattolica KAI ha precisato che quell’atto non è più in vigore e vale la semplice legge “una volta cattolico, cattolico per sempre”. Allora forse occorre rivalutare l’azione dello sbattezzo che l’UAAR ha messo a punto in Italia perché, evidentemente, non è così indolore per la Chiesa, e forse vale anche la pena ricordare il suo significato storico.
Nel 1958 il vescovo di Prato, illuminato esponente della “religione dell’amore”, definì una coppia di sposi «pubblici peccatori e concubini» perché avevano avuto l’ardire di sposarsi in Comune e non in chiesa. La coppia subì danni anche economici dalle parole del vescovo e gli fece causa, perdendola. Perché i due, essendo battezzati, facevano formalmente parte della Chiesa cattolica e quindi erano sottoposti all’autorità ecclesiastica.
In pratica quella sentenza stabilì che i gerarchi cattolici possono dare pubblicamente qualunque giudizio morale sulle loro pecorelle senza incorrere in alcuna sanzione amministrativa.
Quindi oltre che per tante altre ragioni, prima fra tutte la coerenza, lo sbattezzo è un atto doveroso da parte di chi cattolico non è, per togliere potere a questa istituzione che si basa sulle sciocche consuetudini da millenni a questa parte.
Alessandro Chiometti