Per chi, come noi, ama le spiagge elleniche come luogo in cui passare le ferie estive questo nuovo libro di Giuseppe Ciulla è duro da digerire.
Noi, comuni turisti fai da te, abbiamo assaporato gli stessi traghetti Ancona-Patrasso del giornalista e condiviso per anni l’atmosfera data dai conducenti dei tir balcanici e turchi che si mescolano insieme ai turisti di mezza Europa sulla tratta adriatica. Però dopo l’arrivo nel porto di mare ellenico abbiamo seguito altre rotte, prima e dopo la crisi del governo di Atene. Ovviamente noi abbiamo percorso quelle che portano alle indimenticabili spiagge delle isole ioniche, di Creta, delle Sporadi e del Peloponneso; invece il bravo giornalista di Mazara del Vallo ha seguito quelle che portano a quell’Evros che è la porta fra oriente e occidente a sud dell’Europa. A migliaia di chilometri dall’indifferenza di Bruxelles andando incontro ai poveretti che perdono la vita nel tentativo di attraversarlo spesso credendo che sia l’ultima tappa di un viaggio che darà loro la libertà mentre è solo l’inizio della loro vita da clandestini in occidente.
In pochissimi casi quindi la strada percorsa dal Ciulla si è sovrapposta alla nostra, uno di questi è la città di Volos che abbiamo avuto la fortuna di visitare nel 2010 in attesa del traghetto per le isole Sporadi. Di certo un giorno di presenza nella città non ha potuto permetterci di aver sentore di tutte le storie che si celavano dietro quei palazzi e quei caffè, ma abbiamo l’impressione che molte delle conclusioni del giornalista le avevamo intuite da tempo pur non avendo indagato a fondo come lui.
Un viaggio amaro quello di Giuseppe Ciulla e non poteva essere altrimenti visto i temi ricercati lungo il suo percorso. Storie di Bulgari che passano il confine per lavorare, anche se sembra strano che la Grecia in queste condizioni possa offrire lavoro a qualcuno occorre sempre ricordare che c’è sempre chi è messo peggio. Storie di migrazioni e deportazioni antiche fra l’impero ottomano e gli alleati della prima guerra mondiale. Storie di tentativi di economie alternative, di produzioni di miele biologico.
Storie di monaci del monte Athos di cui non possiamo condividere l’entusiasmo quasi mistico con cui il giornalista le racconta. Dobbiamo dire che è questo è l’unico punto in cui non apprezziamo lo sguardo del giornalista e sinceramente la scelta di reclusione monastica (e misogina) a combattere contro un fantomatico demonio non la paragoneremmo alle altre esperienze. Ad ogni modo, laicamente, si possono avere opinioni diverse.
La conclusione di Ciulla, in estrema sintesi, è che “nessuno in Grecia morirà per l’Euro” e che fondamentalmente l’Europa gelida dei palazzi di Bruxelles non capirà mai la Grecia (e forse aggiungiamo noi, il sud Europa in generale). Come dicevamo prima, noi che abbiamo viaggiato le isole e le spiagge del Peloponneso in lungo e in largo abbiamo avuto la stessa impressione fin dal lontano 2002, quando l’Euro era appena arrivato. Ricordiamo perfettamente le imprecazioni dei commercianti greci a cui, con la nuova moneta, non tornavano i conti; ricordiamo anche la diffidenza verso il nuovo mercato e i commenti scettici già allora. Come nel libro poi negli anni seguenti abbiamo conosciuto persone che avevano mollato tutto per dedicarsi alla coltivazione biologica e italiani che da tempo hanno lasciato la competitività di Milano e fanno gli affittacamere o gli albergatori in nel “mare degli dei”.
La Grecia che ha ospitato la nascita della civiltà europea, ha visto la dissoluzione del suo impero, è stata sottomessa da ottomani e nazisti ha sempre trovato il modo di risorgere. Lo farà anche stavolta con buona pace delle troike, della Merkel e dell’Euro.
(Un estate in Grecia, di G. Ciulla, ed. Chiarelettere)
J. Mnemonic